Il vecchio borghese Mathieu ama follemente Conchita che lo mantiene al guinzaglio di un prorompente desiderio sessuale mai completamente appagato. Un po' gattina e un po' maliarda la donna un po' si nega e un po' si dà, ma non concede mai totalmente ciò che l'uomo brama con tutto sè stesso. Tra liti e passione la tormentata relazione prosegue, toccando i vertici del grottesco. Straordinaria opera ultima del Maestro Buñuel, che ci regala il suo
film-testamento come suggello definitivo della sua arte. Liberamente
tratto dal romanzo La donna e il burattino di Pierre Louÿs, è un
racconto onirico a più livelli denso di simboli, metafore, trappole
narrative, ribaltamenti di evidente natura psicoanalitica. Ad un certo
livello può essere letto come disordinato apologo sul desiderio sessuale
non corrisposto e, quindi, sulla frustrazione che ne deriva e che
diviene, inconsciamente, rottura dell'io e perdita del senso di
"realtà". Ma, come sempre in Buñuel, tutto è assai più ambiguo, più
complesso, al punto che cercare di "spiegare" razionalmente il film
significa mortificarne la portata visionaria e la natura surreale.
Geniale la scelta di ribaltare il senso del romanzo ispiratore,
mostrando gli "eventi" dal punto di vista del "burattino". Il
personaggio femminile di Conchita, oggetto e fonte del desiderio del
titolo, è interpretato da due attrici diverse, Carole Bouquet e Ángela
Molina, a seconda del differente livello di percezione della "realtà" da
parte del protagonista Mathieu (Fernando Rey). La libertà espressiva e
la straordinaria capacità di controllo della materia filmica raggiunte
dal grande regista spagnolo non possono che suscitare ammirazione. Forse
solo Pier Paolo Pasolini e John Huston hanno chiuso la loro carriera
con opere di analoga grandezza e di altrettanta incisività simbolica.
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