Sono trascorsi 30 anni
dalla battaglia di Endor e dalla fine dell’Impero galattico devoto al lato
oscuro della Forza. Le forze del bene si sono unificate in una repubblica che
ha nella “Resistenza” il suo gruppo più valoroso, invece quelle del male si
sono radunate nel così detto “Primo Ordine”, in cui il giovane malvagio Kylo
Ren è una delle figure emergenti. Tutti sono alla ricerca di Luke Skywalker,
l’ultimo cavaliere Jedi che ha scelto di ritirarsi in un eremo segreto, la cui
collocazione è nascosta in una mappa, affidata da un pilota in pericolo al
piccolo droide BB-8. La ricerca affannosa del droide, della mappa e di
Skywalker da parte del “Primo Ordine” dà il via alla nuova avventura in cui
saranno coinvolti vecchi e nuovi protagonisti: il “pirata” Han Solo, la
principessa Leia Organa (adesso divenuta generale della “Resistenza”), la
giovane Rey, mercante di rottami di navi spaziali con un misterioso passato
alle spalle, e lo Stormtrooper
pentito Finn, rocambolescamente passato dalla parte dei buoni. Dopo il grande
successo mondiale della vecchia trilogia originale, dopo la criticatissima
trilogia prequel del nuovo millennio e dopo l’uscita di scena del “creatore” della
saga, George Lucas, che ha lasciato la sua “creatura” prediletta nelle mani
della Disney, il promettente J.J. Abrams ci riporta tutti nella “galassia lontana lontana”, con il film
più atteso dell’anno: l’episodio VII di “Star Wars”. Ma la grande attesa non
viene ripagata da quest’opera timida, derivativa, spettacolare, ma debole
perché deficitaria di personalità e povera di idee. Contrariamente a quanto
fatto con i due scattanti remake di “Star
Trek”, energicamente rivitalizzati ed adattati alla sensibilità moderna, Abrams
sceglie stavolta la via più facile e pavida, probabilmente intimorito di fronte
al peso del mito di una saga così popolare e ricca di fans appassionati e
“battaglieri”. E di sicuro anche la guida di una major ampiamente conservatrice
come la casa di Topolino & co. ha giocato un ruolo decisivo nelle scelte di
sceneggiatura, a cominciare dai due giovani protagonisti che sono all’insegna
del più spudorato politicamente corretto dei nostri tempi: un ragazzo di colore
ed un’intrepida eroina femminile. Il risultato finale è un film con scarso
coraggio, un ricalco pedissequo e nostalgico, nella trama, nella struttura e
nelle situazioni, del primo storico capitolo del 1977 (poi divenuto “episodio
IV”), con l’aggiunta di echi da tragedia familiare ereditati dal successivo e
più oscuro “L’impero colpisce ancora”.
In tal senso chi ha parlato di malcelato “remake” più che di originale sequel
non è lontano dalla verità. Ben vengano gli omaggi, le citazioni, i riferimenti
ossequiosi, ma era lecito attendersi una maggiore esuberanza creativa e,
soprattutto, la ricerca di nuove direzioni, pur nel rispetto dei cliché della
saga. E se la cosa migliore di questo episodio VII è, senza dubbio, la dinamica
e tormentata Rey di Daisy Ridley, le note più stonate arrivano dai presunti
“punti forti” della vigilia: il nuovo cattivo Kylo Ren (deludente sia con sia senza
maschera), che a tratti sembra una caricatura furiosa del celebre Darth Vader, ed
il ritorno dei vecchi storici personaggi che appaiono stagionati, appesantiti,
svogliati, un triste ricordo appassito degli eroi di una volta. Ed è forse
questo il vero punto fermo che emerge amaramente dalle operazioni (commerciali)
di questo tipo: i più terribili “mostri”, i più implacabili nemici, i veri “starkiller” sono gli anni che passano,
impietosi e inesorabili. E non c’è Forza che tenga su questo punto, purtroppo.
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