mercoledì 2 dicembre 2015

Il coltello nell'acqua (Nóz w wodzie, 1962) di Roman Polanski

Una coppia borghese, lui saccente e arrogante, lei vitale ma repressa dal marito ingombrante, raccoglie un giovane autostoppista mentre è in procinto di partire per una gita in barca sul lago. Colpito dall’aria sfrontata del ragazzo, l’uomo lo invita ad unirsi a loro per dimostrare di essergli superiore. La breve convivenza forzata nello spazio esiguo del natante darà origine ad una serie di eventi drammatici e imprevedibili. Una barca, un lago e tre protagonisti per lo straordinario esordio cinematografico di Roman Polanski, di certo uno dei debutti più lodevoli nella storia della “settima arte”. Il geniale regista polacco mette in scena un dramma teso e sottile, compensando l’apparente pochezza di mezzi con l’eccellente finezza psicologica che rende i personaggi figure emblematiche del crudele gioco della vita, svelando così il suo reale intento di lucido apologo sulla natura umana. Chi ci ha visto graffi polemici al regime socialista polacco, in particolare alla sua politica pavidamente “omertosa”, non ne ha inteso, a mio avviso, la sua più alta ambizione di parabola antropologica universale. Il rapporto che si instaura tra i tre personaggi, la tensione (anche sessuale) strisciante e palpabile, il gioco di sguardi, le frustrazioni taciute, la centralità della figura femminile (che è, al tempo stesso, testimone e strumento dell’azione), la contrapposizione tra il modello borghese e la ribellione giovanile, l’emersione inesorabile dei più primordiali istinti in condizioni di particolare promiscuità, sono solo alcuni dei tanti temi egregiamente affrontati da quest’opera complessa, possente, metaforica, sottilmente stratificata nei suoi numerosi piani di lettura. La sfida virile tra i due uomini va ben oltre lo scontro generazionale e la lotta di classe, e si erge a conflitto tra due mondi, tra due concezioni opposte della vita. Nel microcosmo rappresentato dalla barca, palcoscenico mobile del “duello”, assumono enorme valenza simbolica gli oggetti: l’acqua, elemento purificatore tipico del cinema di Polanski, il coltello e la stessa donna, visti come emblemi di possesso da difendere ad ogni costo o come, nel caso di lei, “premio” finale. L’epilogo torbido e ambiguo, fertile latore di ciniche vertigini morali, sposta il senso dell’opera su altri piani, ribaltando il senso iniziale della figura femminile ed esplorando i confini reconditi del complesso rapporto uomo-donna, di cui la declinazione matrimoniale è, probabilmente, quella più ipocrita. Quest’opera straordinaria, lucida e densa, sontuosamente impaginata nell’intenso bianco e nero, carico di contrasti, della fotografia curata da Jerzy Lipman, ha svelato al mondo il talento di Polanski ed è stata la prima pellicola polacca candidata all’Oscar di miglior film straniero, battuta solo dal capolavoro di Fellini, . Da segnalare anche la bella colonna sonora jazz di Krzysztof Komeda che fa da stridente contrappunto ai momenti di massima tensione psicologica del film.

Voto:
voto: 4,5/5

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