mercoledì 2 dicembre 2015

Youth - La giovinezza (Youth, 2015) di Paolo Sorrentino

Fred Ballinger, direttore d’orchestra in pensione, e Mick Boyle, regista cinematografico ancora attivo, sono due anziani amici ottantenni, in vacanza riposo presso un prestigioso albergo, immerso nella quiete e nell’incanto naturale delle Alpi svizzere. Insieme a loro uno stuolo di giovani personaggi, tutti alla prese con problemi di svariata natura, fanno da cassa di risonanza alle riflessioni dei due amici, che vivono con nostalgica tenerezza il tempo che gli resta, tra rimpianti e disincanto, ciascuno con le proprie manie e le proprie convinzioni. Elegia surreale ed eterea con ambizioni di apologo esistenziale in cadenze lievi, malinconiche, attraversata da lampi grotteschi, momenti di visionarietà superiore, intimismo riflessivo. Con la consueta estetica finemente ricercata, che si traduce in un funambolico virtuosismo tecnico che dà origine a immagini straordinariamente potenti, Sorrentino dirige questo dramma dai toni leggeri, dedicato espressamente al grande e compianto Francesco Rosi. Come sempre con l’autore napoletano la confezione estetica è di prim’ordine, mentre il grande cast internazionale (Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda) riduce al minimo il rischio “camp”, che a volte si accompagna alle sue opere. Anche la sensazione di sfasamento tra un cinema stilisticamente “alto” e dei contenuti non sempre all’altezza, con conseguenti oscillazioni tra greve e sublime, viene qui ampiamente ridotta alle sole sequenze, troppe più che fuori luogo, in cui appare un obeso Maradona, uno dei principali ispiratori artistici del regista, parole sue. La nota lieta è che Sorrentino sembra, finalmente, sulla giusta via per limare i suoi eccessi guadagnandone in densità espressiva, coerenza tematica, rigore narrativo, con una qualità di scrittura non più così distante dall’enorme talento registico. Raffinato e provocatorio (fin dal titolo), amaramente serafico nella sua anticonvenzionalità espressiva, radicale nel suo elitario sentenziare, l’autore dà spazio agli interpreti (in particolare Caine e Keitel, bravissimi) per portare in scena emozioni, sentimenti, ricordi, attraverso una sottile riflessione sul senso ultimo della vita, sulla ricerca della bellezza (simboleggiata da una natura abbacinante ma anche dal corpo nudo ed “esplosivo”, di vitale sensualità, della splendida Madalina Diana Ghenea) in un’età “crudele”, schiacciata tra il peso del passato e la prossimità della morte. Tra ironia e tragedia il film levita verso un finale che rimanda lontani echi felliniani, che sembra dirci che l’unica via per “fermare” eternamente la giovinezza risiede nell’arte, nel gesto sublime che cristallizza l’attimo, sublimandolo al di là del tempo. Tutto il resto è malinconica routine. Sontuoso il lavoro attuato sulla cifra stilistica dell’opera: intensa, esuberante, capace di indurre, in certi momenti, una sensuale ebrezza nel perfetto mix di immagini e suoni, e con alcune sequenze memorabili come quella del sogno veneziano di Fred/Caine. Forse, a questo punto, Paolo Sorrentino è davvero prossimo a quella maturità artistica che lo porterà a realizzare il capolavoro che tutti aspettiamo, pur fedele alla sua naturale ispirazione: puntare molto in alto ma con i piedi piantati nella fanghiglia. E quindi, per dirla con Fred Ballinger, chiamatelo artista, non intellettuale.

Voto:
voto: 4/5

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