Bob Saginowski, uomo schivo
e solitario, lavora a Brooklyn nel bar del cugino Marv, locale in realtà
gestito dalla mafia cecena e utilizzato, occasionalmente, come deposito
clandestino di denaro sporco (il “drop” del titolo originale). L’incontro
occasionale con un cucciolo di pittbull abbandonato e con una ragazza premurosa,
sembrano dare al dimesso Bob nuova linfa vitale. Ma il ritorno del balordo ex
di lei, che si vanta nel quartiere di un vecchio omicidio “eccellente”, ed una
“sospetta” rapina al bar di Marv finita male, spingono Bob in una spirale di
violenza, facendo tornare a galla il suo oscuro passato. Noir metropolitano dal
ritmo compassato, trattenuto, proprio come il suo protagonista, Bob Saginowski,
egregiamente interpretato dal sempre convincente Tom Hardy. Ma ben presto
s’intuisce che nessuno dei personaggi è ciò che sembra e Hardy è particolarmente
bravo a conferire al suo personaggio una natura ambigua, uno sguardo risoluto
nell’apparente impaccio che mostra, una carica repressa che lascia presagire
una violenza tenuta a freno, ben celata sotto l’aspetto da loser, ma pronta a esplodere sotto opportune sollecitazioni. The drop è anche l’ultimo film di James
Gandolfini, purtroppo prematuramente scomparso, che si congeda dal suo pubblico
e dalla vita con un’interpretazione austera e carismatica, come di consueto. Ma
tutto il cast appare in ottima forma, con una nota di merito particolare per Matthias
Schoenaerts, vero pupillo del regista, giovane attore di indubbio talento. Per
quanto lo sviluppo della storia non sia esattamente imprevedibile, Roskam gira
con indubbio mestiere e con classica misura questa sordida storia di degrado
urbano, in cui la bieca violenza ed il perfido inganno sembrano le uniche
risposte possibili alla cupa solitudine che accompagna, indistintamente, tutti
i personaggi. Ma ciò che rende il film sopra la media dei suo simili è la
capacità del regista (e degli attori) di donare spessore a tutti i protagonisti
principali, tratteggiandone la psicologia, e lasciando intuire quel rimosso (o
quel represso) che è poi la matrice principale alla base dell’opera. In un
panorama altamente inflazionato e ripetitivo come quello dei “crime movies”, un prodotto di questo
tipo, dotato di indubbia personalità e maggiormente interessato alla disamina
antropologica che all’enfatizzazione del gesto violento, non può che essere
accolto con estremo piacere. Da vedere.
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