In un futuro distopico
post apocalittico, la terra è un deserto inseminato in cui tribù di orribili
feroci guerrieri combattono con violenza per il monopolio di quei liquidi che
sono alla base della sopravvivenza: acqua, sangue e gasolio per gli automezzi
“rinforzati”, vere macchine da combattimento su ruote, con cui scorrazzano per
l’outback australiano. Il crudele
capo della Cittadella, fortezza inespugnabile dei predoni, Immortan Joe, viene
abbandonato dalla sua donna, “Furiosa”, che scappa via portando con sé un
manipolo di schiave e concubine per tornare ai luoghi “magici” della sua
infanzia, scatenando così l’ira del tiranno che sguinzaglia le sue schiere
sulle loro tracce. Tra loro si frappone Max, guerriero solitario e taciturno, con
un doloroso passato da dimenticare ed un futuro violento per cui combattere.
L’australiano George Miller, salito alla ribalta negli anni ’80 per la saga
fantascientifica di “Interceptor”,
che fece di Mel Gibson un divo, si riprende, con sorprendente autorità, quello
che è suo, regalandoci questo strepitoso reboot rivisitativo, adattandolo all’estetica moderna e realizzando, probabilmente, il
miglior blockbuster del nuovo millennio. Rinunciando all’estetica da video
game, tipica degli action moderni, e
ricorrendo ad una sapiente fusione tra scenari reali, effetti speciali
“artigianali” ed elementi generati in CGI, Miller mette in scena un universo
stupefacente, abbacinante, visivamente superbo, frenetico e violento, una sorta
di liturgia fantasy dedicata al Dio del Cinema d'azione, un mondo orripilante
ed angosciante in cui la densità filosofica e l'astrazione pittorica, interne
alle suggestive immagini, sono amalgamate in una miscela così furiosa e
coerente da lasciare annichiliti. Il film è così intenso e dinamico, senza però
mai smarrire ordine e coerenza espressiva, che si ricollega direttamente al Cinema
nella sua essenza più pura e primigenia, quella in cui il movimento
dell'immagine è tutto e lo sguardo dell'artista ne contempla, con estasi, il
divenire. Con assoluta padronanza del mezzo e della tecnica, il regista supera,
e di gran lunga, il livello stilistico, concettuale e tematico della sua vecchia
trilogia, e ci catapulta in questo allucinato e magmatico mondo “on the road” fatto di azione violenta, a
rotta di collo verso un continuo susseguirsi di scene memorabili, che danno
forma pregnante alla fuga, all’inseguimento, sotto forma di un tour de force esplosivo, folle, rock,
visionario nell’accezione più intima del termine. Senza rinnegare del tutto il
look punk dei film precedenti, l’autore lo rinvigorisce con una forza visiva
esplosiva, esuberante nella saturazione dei colori, nell’aspetto surreale,
incredibilmente curato nei minimi dettagli, dei personaggi, sia nella bellezza
che nella deformità, nel potente respiro epico degli scenari assolati e
sterminati di un’Australia selvaggia e crudele, fieramente agli antipodi.
Spettacolare e vertiginoso, ma anche denso di contenuti, Fury Road ridefinisce i confini stessi del genere action e del filone apocalittico, osando
addirittura mettere in penombra l’antieroe Max, volutamente offuscato
dall’energica “Furiosa” di Charlize Theron, autentica protagonista del film. Nel
cast svettano i protagonisti principali, Charlize Theron, Tom Hardy e Hugh
Keays-Byrne, tutti bravi e credibili. Nel suo genere è un capolavoro, un cult
assoluto, un punto fermo e qualunque blockbuster a venire dovrà necessariamente
confrontarsi con questo. Strabiliante e definitivo.
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