Tre storie ambientate in
un barocco fantastico: una triste regina, ossessionata dall’idea della
maternità, sarà costretta a mangiare il cuore di un drago marino per dare alla
luce il proprio erede, ma il figlio tanto atteso non seguirà il percorso che la
madre aveva immaginato per lui. Due sorelle, vecchie e laide, grazie ad un
espediente riusciranno a catturare l’attenzione di un giovane re, erotomane
lussurioso, che viene attratto dalla bella voce di una delle due. Un sovrano,
che alleva in segreto una pulce gigante, organizza un torneo per trovare un
degno marito alla sua bella figlia, ma il vincitore non sarà quello sperato. Ispirandosi
alla più antica raccolta europea di fiabe, “Lo
cunto de li cunti” (1636) di Giambattista Basile, in particolar modo a tre
di esse, Garrone ha tratto un film potente, visionario, evocativo, una favola
gotica, oscura e crudele, pervasa da forti pulsioni, che mescola abilmente
l’orrido e il meraviglioso, il sublime e il grottesco, in un ardito
caleidoscopio di pittorica fascinazione, assolutamente inedito per il cinema
italiano moderno. Come sempre l’autore romano, pur esplorando territori
inusuali come quello del “fantasy”, continua a parlarci dei temi cardine del
suo cinema, ovvero vizi, passioni e debolezze umane, qui fortemente distorte sotto
la lente fiabesca e, quindi, cosparse di un’aurea solenne, mitologica, emblematica.
Pescando a piene mani dal materiale originale delle fiabe dialettali di Basile,
Garrone lo ha coraggiosamente adattato, piegandolo, ai suoi stilemi ed alla sua
libertà artistica, attuando un’ardita commistione estetica tra svariate
influenze: dal cinema di genere italiano all’horror gotico, con spruzzi di
commedia amara e di cinismo grottesco rielaborato in chiave fantastica,
passando per quell’approccio “artigianale” che, fortunatamente, lo allontana
dagli stereotipi del moderno fantasy hollywoodiano, e guarda dritto a
quell’eroico cinema nostrano di geniali pionieri come Mario Bava. Dal punto di
vista tecnico siamo di fronte ad un lavoro straordinario: la splendida fotografia
“pittorica” di Peter Suschitzky e le musiche avvolgenti del premio Oscar Alexandre
Desplat, intese ad esaltare la bellezza delle immagini, in cui spiccano i
magnifici scenari naturali e storici del “belpaese”, da Castel del Monte al Castello
di Roccascalegna, dalle gole dell'Alcantara ai “cavoni” della necropoli di
Sovana. Nonostante la veste fantastica dal sapore mitologico, il film ci parla
di temi sempre attuali, e quindi “moderni”, ergendosi a cupa riflessione sulla
natura umana, di cui affronta gli aspetti più intensi ed abbietti, come la
lussuria, la cupidigia, l’ego, con un risalto particolare per l’amore. L’amore
del film di Garrone, presente in forme diverse nei tre episodi, che danno tutti
risalto particolare alla figura femminile, è però un amore distorto, estremo,
“malato”, un amore metaforicamente tossico che condurrà, inevitabilmente,
a tragiche conseguenze. Nel cast internazionale spiccano Toby Jones e Vincent
Cassel, mentre la messicana Salma Hayek non appare del tutto a suo agio nel
ruolo fortemente ambiguo della dispotica regina, disposta a tutto per avere un
figlio. E questo è, indubbiamente, uno dei punti deboli della pellicola,
insieme ad alcuni effetti speciali relativi alle creature fantastiche non
perfettamente riusciti. Garrone conferma il suo talento e la sua forte
personalità artistica, rinnovando il nostro cinema contemporaneo e mantenendo i piedi
ben saldi in quella gloriosa tradizione “di genere”, troppo rapidamente
dimenticata.
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