venerdì 8 gennaio 2016

Carol (Carol, 2015) di Todd Haynes

Carol e Therese sono due donne molto diverse tra loro: la prima è una signora ricca, colta, elegante e raffinata, appartenente alla buona società newyorkese, con un matrimonio in crisi ed una battaglia legale in corso per l’affidamento della sua unica amata figlia, a rischio per certi suoi orientamenti sessuali non ortodossi. La seconda è una giovane ragazza acerba, di belle speranze ma dagli scarsi mezzi, che lavora come commessa e conduce una vita umile, tra la passione per la fotografia ed un fidanzato troppo ingombrante. Il loro incontro casuale farà scattare la scintilla dell’amore e cambierà le loro vite. Melodramma intenso e sofisticato, tratto dal romanzo "The Price of Salt" di Patricia Highsmith, con cui Haynes ritorna, con successo, a quelle tematiche già egregiamente tratteggiate nello splendido Lontano dal paradiso: gli anni ’50, l’upper class americana, il conformismo di un’epoca bigotta, l’impossibilità di vivere i propri sentimenti alla luce del sole a causa di esso, l’omosessualità. Stavolta parliamo di omosessualità femminile, l’amore saffico, prima platonico e poi carnale, tra le due splendide protagoniste, entrambe bravissime, Cate Blanchett e Rooney Mara, con una menzione speciale per la seconda. Come al solito, nel caso di Haynes, la ricostruzione d’epoca è sontuosa, le atmosfere ovattate e malinconiche, le musiche (di Carter Burwell) suadenti e la direzione degli attori (in questo caso attrici) di grande livello. La forza dell’opera è nella sua capacità di essere avvolgente e conturbante con intimo pudore, anche nelle scene erotiche, senza mai andare sopra le righe o indulgere nelle trappole del sentimentalismo. Il suo senso della misura si mantiene ammirevole fino al finale ambiguo, che celebra la forza dell’amore e l’importanza della propria identità sessuale al di là dei giudizi morali e delle convenzioni sociali. Attraverso il lungo flashback che racconta la storia di Carol e Therese, riviviamo la magia del grande melodramma classico, quello di Douglas Sirk a cui Haynes evidentemente s’ispira, ma le problematiche sono affrontate con una dignità ed una sensibilità “moderna”, impensabile per i tempi. Ad una prima parte “geometrica”, in cui i luoghi abitativi definiscono i personaggi attraverso il proprio status sociale, ne segue una “trasgressiva”, simboleggiata dal viaggio verso ovest, inteso come idea di fuga, liberazione, abbandono ai propri sentimenti, rivolta al puritanesimo limitante. In questa seconda parte i gesti, gli sguardi, i volti tradiscono i fermenti interiori, assumendo una solennità irreversibile, e la vitalità esplosiva, a lungo celata, ha il sopravvento sul velo imposto dalle “buone maniere”. In un mondo dominato da ipocrisia e moralismo, algido come l’aspetto esteriore della sua protagonista, Carol, l’autore ci regala un’altra lezione di stile, di eleganza e di bellezza, con un cuore pulsante che batte forte, nascosto ma vigoroso, sotto la patina delle apparenze. Il film ha ricevuto due premi (la Mara e il regista) al Festival di Cannes del 2015 ed è stato accolto con entusiasmo dalla critica di tutto il mondo.

Voto:
voto: 4/5

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