lunedì 4 gennaio 2016

Scene da un matrimonio (Scener ur ett äktenskap, 1973) di Ingmar Bergman

Marianne e Johan sono una coppia apparentemente solida: sposati da dieci anni, con due figlie, entrambi istruiti, occupati e senza problemi economici. Spesso si compiacciono del fatto che la loro relazione, a differenza dei rispettivi amici comuni, procede tranquilla, serena, senza scossoni. Ma un giorno, inattesa ed improvvisa, scoppia la crisi. E’ una delle opere più note del Maestro svedese, inizialmente nata come film per la tv della durata di circa 5 ore e divisa in sei capitoli (le “scene” del titolo): "Innocenza e panico", "L'arte di nascondere lo sporco sotto il tappeto", "Paola", "Valle di lacrime", "Gli analfabeti", "Nel pieno della notte in una casa buia in qualche parte del mondo". Visto il successo ottenuto in patria Bergman lo adattò per il cinema, nel 1974, con una versione ridotta a poco meno di 3 ore ed un formato “espanso” a 35 millimetri, studiato appositamente per il grande schermo. Ennesimo riepilogo su uno dei temi costanti della filmografia dell’autore, quello delle difficoltà del rapporto di coppia, è uno straordinario dramma da camera, denso e lucido, interamente costruito sui due personaggi principali e sulle memorabili interpretazioni di Liv Ullmann (che qui raggiunge, probabilmente, l’apice della sua brillante carriera di attrice) e di Erland Josephson. Benché l’origine televisiva ne condizioni a volte l’impianto (in alcuni passaggi eccessivamente verboso e teatrale), e tenga a freno l’estro visivo dell’autore, il film è una sorta di “lezione magistrale” (e definitiva) sull’argomento matrimoniale, diretto con limpida chiarezza, mai noioso e addirittura “scientifico” nella sua capacità di analizzare nei più intimi dettagli le dinamiche interne alla vita di coppia, attraverso i rituali quotidiani, le ipocrite convenzioni, le angosce taciute, i desideri inconfessabili, i drammi nascosti. L’approccio del regista è meticoloso ed asettico nella sua volontà speculativa di radiografare gli umori e le tensioni di una coppia per svelarne il lato oscuro, l’inevitabile debolezza, il falso conformismo e, quindi, provare a cercare una (vana) risposta rigorosa al perché l’amore sia destinato a svanire. Ciò che rende il film indimenticabile è la sottile capacità “dreyeriana” dell’autore di modularne i tempi ed il patos emozionale attraverso le espressioni dei volti dei due protagonisti, spesso analizzate in primissimo piano e sempre fortemente evocative, capaci di comunicare anche nelle scene di silenzio. Il doppiaggio italiano, curato da Franco Rossi, è all’altezza dell’originale.

Voto:
voto: 4,5/5

Nessun commento:

Posta un commento