Marianne e Johan sono
una coppia apparentemente solida: sposati da dieci anni, con due figlie,
entrambi istruiti, occupati e senza problemi economici. Spesso si compiacciono
del fatto che la loro relazione, a differenza dei rispettivi amici comuni,
procede tranquilla, serena, senza scossoni. Ma un giorno, inattesa ed
improvvisa, scoppia la crisi. E’ una delle opere più note del Maestro svedese,
inizialmente nata come film per la tv della durata di circa 5 ore e divisa in sei
capitoli (le “scene” del titolo): "Innocenza
e panico", "L'arte di
nascondere lo sporco sotto il tappeto", "Paola", "Valle di
lacrime", "Gli analfabeti",
"Nel pieno della notte in una casa
buia in qualche parte del mondo". Visto il successo ottenuto in patria
Bergman lo adattò per il cinema, nel 1974, con una versione ridotta a poco meno
di 3 ore ed un formato “espanso” a 35 millimetri, studiato appositamente per il
grande schermo. Ennesimo riepilogo su uno dei temi costanti della filmografia
dell’autore, quello delle difficoltà del rapporto di coppia, è uno
straordinario dramma da camera, denso e lucido, interamente costruito sui due
personaggi principali e sulle memorabili interpretazioni di Liv Ullmann (che
qui raggiunge, probabilmente, l’apice della sua brillante carriera di attrice)
e di Erland Josephson. Benché l’origine televisiva ne condizioni a volte l’impianto
(in alcuni passaggi eccessivamente verboso e teatrale), e tenga a freno l’estro
visivo dell’autore, il film è una sorta di “lezione magistrale” (e definitiva)
sull’argomento matrimoniale, diretto con limpida chiarezza, mai noioso e addirittura
“scientifico” nella sua capacità di analizzare nei più intimi dettagli le
dinamiche interne alla vita di coppia, attraverso i rituali quotidiani, le ipocrite
convenzioni, le angosce taciute, i desideri inconfessabili, i drammi nascosti.
L’approccio del regista è meticoloso ed asettico nella sua volontà speculativa
di radiografare gli umori e le tensioni di una coppia per svelarne il lato
oscuro, l’inevitabile debolezza, il falso conformismo e, quindi, provare a cercare
una (vana) risposta rigorosa al perché l’amore sia destinato a svanire. Ciò che
rende il film indimenticabile è la sottile capacità “dreyeriana” dell’autore di
modularne i tempi ed il patos emozionale attraverso le espressioni dei volti
dei due protagonisti, spesso analizzate in primissimo piano e sempre fortemente
evocative, capaci di comunicare anche nelle scene di silenzio. Il doppiaggio
italiano, curato da Franco Rossi, è all’altezza dell’originale.
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