giovedì 7 gennaio 2016

Il Casanova di Federico Fellini (Il Casanova di Federico Fellini, 1976) di Federico Fellini

Vita, amori, dolori, eccessi ed avventure di Giacomo Casanova, leggendario seduttore veneziano del ‘700. La riduzione cinematografica delle “Memorie scritte da lui stesso” di Casanova fu un progetto dalla gestazione lunga e travagliata, anche a causa delle divergenze tra Fellini e la produzione in merito alla scelta, fondamentale, dell’attore protagonista. Si fecero tanti nomi eccellenti: Robert Redford, Michael Caine, Jack Nicholson, Alberto Sordi, Gian Maria Volontè ma, alla fine, il regista riminese optò per Donald Sutherland, il cui volto fu opportunamente trasformato in fase di trucco per aumentare la somiglianza con l’avventuriero italiano. Già nel titolo il film denunzia un narcisismo pericolosamente sbilanciato sul versante del compiacimento d’autore e, manco a dirlo, Fellini manipola ampiamente il testo letterario, stravolgendolo secondo le proprie ossessioni e facendo del protagonista una vittima della sua fama di rubacuori, una sorta di forzato del piacere impegnato in imprese amatorie prive di gioia, un uomo affascinante e raffinato ma condannato ad un’attività sessuale competitiva, ossessiva e ripetitiva. Coraggiosa e stimolante la scelta di girare il film interamente in interni, ricostruendo la Venezia settecentesca, con il geniale e ardito estro visionario tipicamente felliniano, negli studi di Cinecittà, avvalendosi di una crew di professionisti straordinari, in cui spicca il solito fedelissimo Danilo Donati, premiato per l’occasione con l’Oscar ai costumi. Come sottolineato all’epoca dallo stesso Fellini la scelta progettuale, congeniale al suo senso estetico, va in direzione opposta rispetto a quanto fatto da Kubrick nel suo Barry Lyndon, infatti il Maestro americano scelse un realismo epico fatto di campi lunghi e luci naturali per rappresentare “l’età dei lumi”, invece il nostro optò per un ridimensionamento artefatto di alto simbolismo fantastico, una trasfigurazione artisticamente personale della storia, dei luoghi e dei personaggi. Diviso in blocchi narrativi il film ondeggia tra toni lugubri e barocchismi esasperati, tra invenzioni geniali e cadute di stile, tra orrido e meraviglioso, ironico e sontuoso. L’apparente voluttà funeraria, l’oppressivo senso di morte che domina molte sequenze, è solo la patina di un’opera assai più complessa, una rapsodia tenuta miracolosamente insieme dall’unità di visione dell’autore che riesce, nonostante a tutto, a dominarne il contenuto, plasmandolo in un forsennato disegno psicologico, il cui fine ultimo è quello di mostrare, non senza fertili ambiguità, il rapporto nevrotico tra il protagonista e la donna, con particolare enfasi rivolta all’eros, all’organo sessuale femminile, qui visto come un vortice, un abisso che risucchia le ossessioni del maschio. Magicamente sospeso tra tenerezza e orripilanza, è un film ammaliante, felliniano fin nel midollo, con lampi di poesia altissimi che illuminano le ambientazioni lugubri. Ed è anche uno dei migliori risultati ottenuti dal regista nella seconda fase della sua straordinaria carriera.

Voto:
voto: 4,5/5

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