lunedì 29 maggio 2017

Aguirre, furore di Dio (Aguirre, der Zorn Gottes, 1972) di Werner Herzog

Nel 1560 una spedizione di conquistadores spagnoli, guidata da Gonzalo Pizarro, intraprende la difficile discesa del versante peruviano della Cordigliera delle Ande alla ricerca del mitico El Dorado. La giungla selvaggia e impenetrabile ne impedisce il passaggio e allora Pizarro decide di inviare una pattuglia di esploratori, provvisti di zattere, lungo il corso del fiume Urubamba, sotto il comando di Pedro de Urrua. Minacciati da pericoli e avversità di ogni tipo, dai gorghi alle piene del temibile fiume, fino agli attacchi dei feroci indigeni locali, gli esploratori vengono messi a dura prova, fino a quando Urrua decide di abbandonare e tornare indietro. Ma il suo braccio destro, l’ambizioso e spietato Lope de Aguirre, non è d’accordo, ne usurpa il comando, imprigiona e processa Urrua come traditore e intraprende una folle lotta contro le avversità, decidendo di portare avanti la missione ad ogni costo, convertire i selvaggi indios e trovare l’oro leggendario. Vittima della sua insana megalomania e del suo nevrotico desiderio di conquista, Aguirre condurrà i suoi uomini alla morte e resterà da solo, ormai completamente pazzo, sulla zattera alla deriva a strillare ordini esagitati verso un branco di scimmie. Capolavoro storico biografico di Werner Herzog, liberamente ispirato alle vicende (ampiamente romanzate dall’autore) del vero Lope de Aguirre nella sua lunga ricerca di El Dorado, di cui ci è giunta traccia attraverso le memorie scritte del frate Gaspar de Carvajal. E’ un film di potente respiro epico e di mirabile fascinazione visiva, girato con scarsi mezzi nella giungla peruviana in condizioni estreme e pericolose, pur di garantire il totale verismo narrativo. Assolutamente memorabile la lunga sequenza iniziale, rimasta nella Storia del Cinema, con la natura selvaggia, ostile e meravigliosa che sembra in lotta contro sé stessa: un fiume “infuriato” per la piena, vette impervie e aguzze immerse nella nebbia ed una lunga fila di uomini che discende faticosamente lungo un ripido versante, quasi animando la nuda roccia e l’asprezza di un paesaggio immutabile da migliaia da anni. Nella incredibile location del Machu Pichu, di cui però cogliamo solo alcuni aspetti, il film si apre con una inquadratura di straordinaria potenza visiva e di abbacinante fascino figurativo. Una sequenza da togliere il fiato che vale, già da sola, il prezzo del biglietto. La Natura di Herzog, bellissima e terribile, è più di uno scenario o di uno sfondo scenografico. E’ un autentico protagonista, vivo, palpitante, minaccioso, realisticamente immersivo nel suo tripudio di immagini e di suoni, un essere immutabile sempre pronto a ucciderti o a tenerti in vita, senza mai giudicarti. Questo capolavoro di Herzog dalla lunga e tormentata lavorazione riscosse immediatamente un vasto consenso di critica e segnò l’inizio del proficuo e burrascoso sodalizio professionale tra il regista e il suo attore feticcio, il “suo nemico più caro”, Klaus Kinski, che già su questo set diede vita a violenti litigi con Herzog al punto che i due arrivarono addirittura a minacciarsi di morte. Ma, nonostante il risaputo caratteraccio, Kinski diede il meglio di sé sotto la direzione di Herzog, dando vita a personaggi e interpretazioni memorabili, come questo Aguirre tormentato e maledetto. Come tutti i capolavori anche questa complessa pellicola è interpretabile a vari livelli: grande avventura pseudostorica che vale come allegoria satirica contro il colonialismo, il razzismo e le oppressioni commesse in nome di Dio o della civiltà; parabola luciferina sull’alterigia umana attraverso la tragedia di un eroe del male, tratteggiato in forma mitologica come emblema dell’egocentrismo e della solitudine; viaggio metafisico nella follia umana e nel delirio di onnipotenza, per ribadire la pochezza e l’ingiustizia dell’azione (profanatoria) umana nei confronti della natura. L’estetica dell’opera è onirica e allucinata, una sorta di incubo esoterico attraversato da una sottile malia oscura che produce vertigini e annichilisce lo spettatore attraverso uno straniamento epico di matrice brechtiana. Aguirre è uno di quei film da vedere obbligatoriamente almeno una volta nella vita, per consegnarsi totalmente e lasciarsi trasportare dall’aspro incanto della visione, prigionieri affascinati e impotenti di un incubo che ti resta dentro anche quando le luci si accendono sui titoli di coda. Abbagliante e fulminante, è un’opera unica che ha profondamente influenzato autori come Coppola e Malick e che, ancora oggi, costituisce un viaggio estremo e memorabile al confine tra cinema e follia.

Voto:
voto: 5/5

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