lunedì 22 maggio 2017

L'adultera (Beroringen, 1970) di Ingmar Bergman

Karin è una casalinga svedese, madre di due figli, sposata con un neurologo e apparentemente felice. Per sfuggire alla noia del quotidiano si lascia coinvolgere in una relazione clandestina con un giovane archeologo americano, David, che lavora vicino alla sua casa dove è stata scoperta un’antica effige in legno della Madonna. Ma il rapporto tra i due amanti è tempestoso perché David, di origine ebrea e scampato per miracolo all’Olocausto, è un uomo tormentato e pieno di conflitti interiori. Quando il marito di Karin scopre il tradimento mette la donna di fronte ad una scelta: restare con lui o andar via con David. Primo film di Bergman realizzato con fondi americani (a causa dei problemi dell’autore con il fisco svedese), è un melodramma “da camera” che, attraverso un banale triangolo sentimentale, verte sul tema (molto attuale per i tempi) della liberazione e dell’emancipazione femminile. L’indagine psicologica dell’universo femminile è, stavolta, meno profonda e problematica del solito e l’uso di soluzioni visive che indulgono nel kitsch lasciarono altamente perplessi i critici ed i fans del grande regista. La “contaminazione” produttiva americana non ha giovato ad un film fragile e irrisolto, in cui persino il cast (Elliott Gould, Bibi Andersson e Max von Sydow) appare meno brillante e incisivo del solito. La sensazione è quella di un’opera stanca, svogliata e confusa, nata fin dall’inizio sotto una cattiva stella. Il commento musicale pop che ammicca a quello (imitatissimo) di Love Story completa il quadro decisamente imbarazzante. E’, probabilmente, il peggiore tra i film di Bergman, insieme ai primi acerbi lungometraggi. Un film che non riesce mai a raggiungere la profondità tematica, il rigore stilistico, l’estro figurativo, la tensione psicologica, il lirismo paesaggistico e la capacità di introspezione che sono da sempre accostabili all’aggettivo bergmaniano.

Voto:
voto: 2,5/5

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