lunedì 29 maggio 2017

Il fantasma della libertà (Le fantôme de la liberté, 1974) di Luis Buñuel

Film a episodi, apparentemente sconnessi, ma in realtà correlati attraverso la struttura dell’effetto domino, con i personaggi che, più o meno casualmente, entrano in scena introducendo il segmento successivo. Si parte con un prologo storico ambientato nel 1808, con i soldati napoleonici che invadono la Spagna e fucilano dei patrioti e si prosegue con una grottesca rapsodia dell’assurdo: un uomo che mostra ai bambini foto oscene dei monumenti parigini, un prefetto che riceve telefonate dalla sorella morta, preti che giocano a poker con i santini, un folle che spara sulla gente e poi firma autografi come una star, una scolaresca di gendarmi che si comportano come bimbi monelli, un pranzo tra borghesi in cui si mangia voracemente in solitudine per poi socializzare nel momento di defecare. Il penultimo film del grande vecchio di Calanda è uno dei suoi lavori più ostici, spigolosi, dissacranti, spiazzanti, ma anche geniali, corrosivi, divertenti, impietosamente tragicomici nel ribadire impudentemente la mancanza di senso, il trionfo dell’illogico e il fallimento dei modelli sociali borghesi, persi nella futilità di un vacuo conformismo. Provocatorio e dissennato, aspramente inconciliato (e inconciliabile), ma anche serafico nella calma olimpica della saggezza illuminata, va letto come un potente e giocoso divertissement del vecchio Maestro, che attraverso la struttura a gag (alcune delle quali di irresistibile forza farsesca), fa un riepilogo (in pillole) di tutti i suoi temi, con un umorismo graffiante che si muove costantemente sul filo del paradosso surreale in un ultimo supremo sberleffo alla logica benpensante. Profanando dogmi, abbattendo luoghi comuni, rinnegando l’approccio razionale, rovesciando le convenzioni sociali, trasformando il senso in “contro-senso” e sdoganando i tabù inconfessabili, Buñuel insegue (da sempre) il proprio sembiante (fantasma) di libertà. Libertà artistica, ideologica, politica, religiosa, stilistica. Libertà di rinnegare (e negare) persino il suo stesso concetto e, al tempo stesso, di inneggiare al suo valore attraverso coraggiosi atti di profanazione, di disallineamento, di dissenso, di affermazione di un (dis)ordine altro rispetto alla dottrina ufficiale. E, alla fine, è nei piccoli insignificanti gesti irrazionali che l’uomo riesce a cogliere autentici lampi di libertà, intesa come autentica espressione del proprio io a discapito di sovrastrutture limitanti imposte dall’esterno. Come il signor Foucault che si perde nella contemplazione di un ragno o il carro armato che insegue la volpe nella campagna. La vera libertà sta, forse, nel non limitare la propria fantasia, nel rifiutare i limiti, per perdersi in un altrove irrazionale dove poter cogliere fugaci barlumi di vero attraverso esperienze sensoriali che esulano il controllo della ragione e della morale. Ed è proprio questo che Buñuel sembra dirci, freudianamente, in questo film allegoricamente dissennato, ma, forse, ben più semplice di quello che potrebbe apparire ad una visione superficiale. Nel ricco cast internazionale segnaliamo Adriana Asti, Julien Bertheau, Jean-Claude Brialy, Adolfo Celi, Michael Lonsdale, Monica Vitti, Michel Piccoli, Milena Vukotic e Jean Rochefort. E’ un film affascinante ed impervio per amanti irriducibili del surrealismo estremo. I mainstreamers possono tranquillamente stare alla larga.

Voto:
voto: 4/5

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