giovedì 18 maggio 2017

La voce della luna (La voce della luna, 1990) di Federico Fellini

Nella Bassa Padana il mite matto Salvini dice di sentire voci misteriose dal fondo dei pozzi di campagna illuminati dalla luna. Mentre cerca la sua donna ideale incontra una serie di personaggi stravaganti tra cui il prefetto in pensione Gonnella, paranoico e ossessionato dalle congiure, con il quale condividerà strampalate avventure. Liberamente ispirato al romanzo “Il poema dei lunatici” di Ermanno Cavazzoni, l’ultimo film di Fellini è una fiaba surreale e sconsolata che ci parla di solitudine, di follia, di vecchiaia e di morte, a cui l’autore affida il suo lapidario commento/epitaffio sulla volgarità di un presente becero e chiassoso, di fronte al quale la dignità del silenzio è l’unica risposta possibile. Nonostante una trama un po’ disordinata, l’opera abbonda di invenzioni visive e di esuberanza metaforica, malgrado il tono sommesso, malinconico e profondamente amaro. E’ obbligatorio citare, in tal senso, la festa della “gnoccata” o la tavola rotonda televisiva. Va anche detto che, nonostante il prestigio mai venuto meno e la costante originalità delle sue opere (anche di quelle apparentemente ripetitive), Fellini dovette incontrare difficoltà sempre maggiori a trovare finanziamenti per i suoi film. Egli non era più ritenuto (in realtà non lo era mai stato) un autore commerciale, i suoi film riscuotevano sempre meno successo, il gusto del pubblico era cambiato e, pertanto, i produttori non gli concedevano più credito. Solo con molte difficoltà il nostro trovò i finanziamenti per questo suo ultimo film, La voce della luna, canto del cigno di una carriera gloriosa e, in qualche modo, suo testamento artistico (ma tutti i suoi ultimi film possono essere considerati tali). Non è tuttavia uno dei suoi capolavori, è l’opera di un artista stanco e disilluso, ormai chiuso nel cerchio dei suoi pensieri, prigioniero dei suoi fantasmi, deluso e un po’ sconsolato, che ripete la sua denunzia del disfacimento dei tempi moderni,  lamentando la perdita degli antichi valori. Sono temi già familiari e, stavolta, più enunciati che sviluppati, in un film cui nuoce non poco la programmatica ricerca della poesia, perseguita attraverso il trasognato andamento della vicenda e l’astrazione dei due personaggi principali (nel cui ruolo stonano, e sembrano snaturati, due attori spudoratamente comici come Roberto Benigni e Paolo Villaggio). Ma, come già detto in precedenza, nemmeno quest’ultima opera, benché manieristica e disomogenea, manca di momenti di assoluto fascino e di geniali unghiate d’autore. Le riserve sono dovute all’automatico confronto con i capolavori e le altre pellicole maggiori di un artista di straordinaria fantasia creativa, ma, considerata a se stante, La voce della luna vale più (come del resto tutte le opere “minori” di Fellini) dei migliori risultati di molti altri registi, magari anche apprezzati oltremisura. Dopo questo film, anch’esso di limitato successo, l’autore non ha più trovato produttori disposti a “rischiare” e di questo se ne rammaricava spesso pubblicamente. Gli americani, che l’hanno sempre amato moltissimo (e spesso anche tentato con offerte di lavoro, costantemente rifiutate perché Fellini non si riteneva compatibile con un ambiente diverso) lo insigneranno, nel 1993, di un “quinto” prestigioso Oscar celebrativo alla carriera, che l’autore, nella cerimonia di premiazione a Los Angeles, interpretò acutamente (e con l’abituale pungente ironia) come una prematura “imbalsamazione”. E infatti morirà, purtroppo e improvvisamente, solo qualche mese più tardi, lasciando l’intero Cinema mondiale un po’ più solo.

Voto:
voto: 3,5/5

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