venerdì 19 maggio 2017

Sorrisi di una notte d’estate (Sommarnattens leende, 1955) di Ingmar Bergman

L’avvocato Fredrik Egerman, dopo essere rimasto vedovo, ha sposato la bella Anne, molto più giovane di lui, verso cui prova una morbosa gelosia, di cui non è immune neanche suo figlio Henrik, segretamente innamorato dell’attraente matrigna. Per ripicca Fredrik va a trovare una sua vecchia fiamma, l’attrice Desirée, che ha avuto un figlio segreto da lui e che ha una relazione con il conte Malcom. La moglie di Malcom, Charlotte, riferisce ad Anne che Fredrik si è incontrato con Desirée, proprio mentre questa decide di organizzare una grande festa nella residenza materna a cui tutti saranno invitati. Durante la sfarzosa cena ognuno cerca di riconquistare il proprio amato, in un sottile gioco trasversale in cui, alla fine, sarà l’amore a prevalere. Premiato al Festival di Cannes del 1956 con un premio speciale all’umorismo poetico, è il film che impose e rivelò definitivamente al mondo il nome del giovane nuovo autore svedese, Ingmar Bergman. Strutturato come un’elegantissima “ronde” sentimentale, che rimanda sia a Ophuls sia al Renoir de La regola del gioco, oltre che, ovviamente, a Shakespeare (a partire già dal titolo), è una giostra tragicomica di amori e destini incrociati, magicamente sospesa tra commedia raffinata e dramma psicologico. Illuminato dalla grazia, ma con un perfido retrogusto acre che contiene anche sfumati presagi di morte, è un geniale vaudeville che alterna divertenti frivolezze a lucidi intellettualismi, in una dimensione gioiosa di sublime fascinazione allegorica. Oltre a quelli già citati, la pellicola ha anche altri ascendenti “colti”: Strindberg e Merivaux, per citare solo i più facili, ma la critica ne trovò molti altri. Riprendendo il tema dell’amore e delle sue varianti (già trattato in molti film precedenti, ma mai con tanta divertita spregiudicatezza e tanta raffinata eleganza), Bergman aspira, evidentemente, al “racconto filosofico”, dietro la leggerezza di una commedia di apparente (e perfino compiaciuta) “fatuità”. Straordinarie le suggestioni liriche del paesaggio nordico e brillantissime le interpretazioni di un cast in gran forma, che annovera Eva Dahlbeck, Gunnar Björnstrand, Ulla Jacobsson e Harriet Andersson (alla sua quinta collaborazione con il regista). Da mostrare a tutti coloro che sostengono che Bergman non sia portato al registro leggero e comico, tra i cui non numerosi esponenti questo è il suo indubbio capolavoro. Nella versione italiana la censura impose di trasformare Henrik da figlio a nipote di Fredrik Egerman, altrimenti la sua attrazione per Anne sarebbe risultata troppo scandalosa per la morale dell’epoca.

Voto:
voto: 4,5/5

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