lunedì 1 dicembre 2014

L'uccello dalle piume di cristallo (L'uccello dalle piume di cristallo, 1970) di Dario Argento

Uno scrittore americano in vacanza a Roma assiste, per caso, all'aggressione di una donna in una galleria d'arte, compiuta da un misterioso individuo che viene presto associato ad un serial killer che sta terrorizzando la città con brutali delitti. L'uomo decide allora di indagare per conto proprio, anche perché è sicuro di aver visto un importante dettaglio, che però non riesce più a ricordare, che potrebbe fargli identificare l'assassino. Folgorante esordio di Dario Argento con il film che aprì la strada al successo popolare del genere "italian giallo", già fondato da Mario Bava con La ragazza che sapeva troppo e Sei donne per l'assassino, e portato da Argento al massimo livello espressivo per l'estetizzazione crudele e visionaria della violenza (il delitto nei suoi film assumerà la stessa valenza pregnante del duello nei western di Leone) e per l'esasperazione rituale dei suoi stilemi che daranno corpo a tutte le ossessioni del regista romano. Liberamente ispirato alla novella "La statua che urla" di Fredric Brown e collocato tra Hitchcock e Bava senior, questo thriller forsennato inaugura la così detta "trilogia degli animali" argentiana, ovvero pellicole nel cui titolo viene citato un nome di animale. Violento e seminale per il suo ruolo "fondante", contiene già molti elementi che saranno poi tipici del cinema di Dario Argento, autentici marchi di fabbrica poi largamente imitati da tanti registi horror: un utilizzo audace e dinamico della macchina da presa, i delitti efferati, il particolare importante che non viene in mente, il trauma del passato, i disegni inquietanti, la soggettiva sui dettagli, il montaggio serrato, l'importanza del sonoro, il voyeurismo maniacale, l'immersione nella follia del killer attraverso tecniche di distorsione delle immagini, la polizia inefficiente e l'attenzione morbosa alla figura femminile che è sempre o vittima martoriata o carnefice spietata nelle pellicole del nostro. Valori aggiunti di quest'opera prima sono le musiche sinistre di Ennio Morricone e la fotografia vivida di Vittorio Storaro, che conferisce al film un tono da incubo malsano di natura "pittorica". Sono invece ancora limitati e tollerabili gli atavici punti deboli del cinema argentiano: una sceneggiatura non sempre convincente, svolte narrative implausibili, dialoghi banali, recitazione imbambolata e l'utilizzo maldestro di intermezzi comici tendenti al trash. Chiudiamo con una curiosità: l'uccello che dà il titolo al film, l'Hornitus Novalis, in realtà è una comunissima gru.

Voto:
voto: 3,5/5

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