venerdì 19 marzo 2021

Bohemian Rhapsody (2018) di Bryan Singer

Biografia romanzata dei primi 15 anni di carriera di Farrokh Bulsara, al secolo Freddie Mercury, e della rock band di cui fu mattatore e leader indiscusso fino alla sua morte prematura: i Queen. Si parte dagli inizi stentati nei sobborghi londinesi di quest'estroso immigrato di etnia parsi, a cui stanno fin troppo strette le rigide tradizioni di un ambiente familiare opprimente e di una condizione sociale umile che tarpa le ali del suo fuoco artistico, pronto ad esplodere come un vulcano. E poi l'incontro fatidico con gli altri membri del gruppo, che lo assoldano subito come cantante, i primi successi, i primi contratti discografici, fino ad arrivare al top della scena musicale mondiale grazie ad una lunga serie di hits popolarissime, molte delle quali appartengono all'antologia del rock. E ancora i comportamenti eccessivi e smodati, gli enormi appetiti (omo)sessuali, gli scandali e la nascita di quello stile unico e inconfondibile che fece di Freddie Mercury il più grande front-man della scena musicale, un trascinante "animale" da palcoscenico capace di coinvolgere ed entusiasmare il pubblico come nessun altro. La chiusura è con la scoperta della terribile malattia (l'AIDS) che lo porterà alla morte dopo 6 anni e con la leggendaria interpretazione al Live Aid del 1985, tenutosi al Wembley Stadium di Londra davanti a oltre 70 mila persone e da molti ritenuta come una delle migliori performance dal vivo di tutti i tempi. Il progetto di un biopic sulla straordinaria vita e carriera di Freddie Mercury si è avviato fin dal 2008, sponsorizzato, approvato e "vigilato" dagli stessi Queen, in particolare dal chitarrista Brian May, il "vice leader" del gruppo. Ma la gestazione è stata lunga e travagliata per due motivi in particolare: la scelta dell'attore che avrebbe dovuto affrontare l'onore/onere di interpretare un simile mito ed il taglio da dare alla pellicola per quanto concerne i lati oscuri della vita di Mercury: i festini selvaggi a base di droga e sesso sfrenato, gli atteggiamenti sempre provocatori e sopra le righe, l'egocentrismo maniacale, la trasgressione programmatica, i capricci bizzarri, la gestione non proprio "limpida" della sua terribile malattia. Dopo svariate traversie e vari avvicendamenti di diversi registi, sceneggiatori e attori protagonisti, l'approvazione è stata data al navigato Bryan Singer, come timoniere dietro la macchina da presa, ed al giovane talento emergente Rami Malek (americano di origine egiziana) come interprete del mito Freddie Mercury. Ovviamente l'ingerenza ingombrante dei Queen sulla direzione artistica dell'opera non poteva che ingabbiarne la libertà, il coraggio, lo spirito creativo e "scandaloso", ovvero proprio tutte quelle caratteristiche tipiche del personaggio Mercury, che contribuirono non poco alla sua grandezza e che lo hanno reso, insieme al genio ed al talento musicale, quello che è, nell'immaginario collettivo e nella storia del rock. Il risultato finale è quindi un film tecnicamente impeccabile, ben recitato e con un gran ritmo, ma anche pavido, ruffiano, bozzettistico, politicamente corretto, fin troppo attento ad evitare tutte le "trappole" dei lati in ombra del protagonista, limitandosi a sfiorarli, e costruito minuziosamente per piacere "a tutti". Ovvero al grande pubblico e all'Academy Awards. I momenti migliori, naturalmente, sono quelli musicali e soprattutto per merito dei successi dei Queen (che fanno sempre il loro bell'effetto nostalgia), con l'apice emotivo (tanto efficace quanto scaltro) nei 20 minuti finali del concerto del Live Aid, in cui è obiettivamente impossibile non lasciarsi andare e battere il piede a tempo sulle famose note della band britannica. Manco a dirlo il film ha avuto uno straordinario successo al box office mondiale ed ha vinto 4 Oscar: Rami Malek miglior attore protagonista (anche se ovviamente canta in playback sulla voce originale di Mercury), miglior montaggio, miglior sonoro e miglior montaggio sonoro. Ma il cinema (quello vero) è un'altra cosa e una figura come quella di Freddie Mercury avrebbe meritato qualcosa di ben più profondo, originale, sofisticato, sottile, sfrontato e "maledetto". E non certo per offenderne la memoria ma, piuttosto, per riaffermarne la grandezza assoluta di artista che ha segnato un'epoca, con tutte le contraddizioni e le debolezze dell'uomo.
 
Voto:
voto: 3/5

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