sabato 20 marzo 2021

Suspiria (2018) di Luca Guadagnino

1977: Susie Bannion, giovane ballerina americana, sbarca a Berlino per entrare nella prestigiosa accademia di danza "Markos Tanz", gestita dalla severa coreografa Madame Blanc con la quale Susie instaura fin dall'inizio un rapporto d'intesa che sembra andare oltre gli interessi artistici. Durante il periodo di preparazione del saggio finale accadono fatti inquietanti e morti violente. Intanto il dottor Josef Klemperer, un anziano psicoterapeuta che aveva tra i suoi pazienti una ragazza scomparsa dell'accademia, inizia ad indagare sui misteri che avvolgono la scuola, sospettando che nasconda una setta di streghe impegnate in attività oscure. Remake dell'originale Suspiria di Dario Argento del 1977, uno dei capolavori dell'horror italiano adorato da milioni di fans, specialmente all'estero dove ha sempre avuto più successo che in Italia. Fin da quando Luca Guadagnino ha annunciato questo progetto il tam tam mediatico della rete si è scatenato con commenti di preoccupazione, risentimento o addirittura indignazione nei confronti di questo rifacimento "oltraggioso". Diciamo subito, a scanso di equivoci, che questo film non è un remake vero e proprio ma piuttosto un personale omaggio all'originale di Dario Argento, che si discosta totalmente da esso fin dall'inizio, sia stilisticamente sia nel senso e sia per la storia che viene raccontata. Stavolta tutto è chiaro fin da subito, d'altra parte la trama di Suspiria è arcinota e quindi sarebbe stato fuori luogo mantenere un mistero che non è tale. Gli intenti di Guadagnino sono ben altri, l'orrore è più che altro interiorizzato ed il cuore dell'opera ha a che fare con tematiche come il potere, il rimorso, la fascinazione diabolica, la manipolazione e la scoperta di sè stessi. Declinando tutto questo al femminile si riflette, non sempre lucidamente, sul male e la sua seduzione, oscillando tra storia e mitologia, con un apparato simbolico altalenante nella sua resa espressiva. Dal punto di vista tecnico ed estetico è un film eccellente, molto curato e rifinito, con delle atmosfere lugubri e una fotografia autunnale che ammicca al cinema di Fassbinder degli anni '70, anche per la caratterizzazione di alcuni personaggi femminili, sospesi tra forza e fragilità e pervasi da un ineluttabile e tragico senso di morte. E' parimenti notevole anche il montaggio e le ambientazioni, così come sono interessanti i parallelismi tra arte e magia, orrore storico (il nazismo e i suoi "germi" postumi) ed orrore esoterico. Forse sarebbe stato il caso di approfondirli meglio, visto che il regista palermitano aveva optato, coraggiosamente, per un approccio creativo e non calligrafico, dimostrando, con spiccata personalità artistica, di voler andare ben oltre il film originale. Peccato però che tutto naufraghi in un finale imbarazzante che sfiora il ridicolo involontario, e non tanto per il twist (invero non proprio inatteso) che modifica l'epilogo del film di Argento, ma proprio per la maldestra realizzazione dello stesso. Quello che doveva essere il climax dell'opera (ed il suo vertice horror) appare invece come una grossolana fiera grand guignol del kitsch, con effetti visivi scadenti, caratterizzazioni goffe, truculenze da b-movie e dialoghi risibili. Altri evidenti problemi sono nel cast: se Tilda Swinton (che fa addirittura tre ruoli diversi) è, come al solito, impeccabile, le dolenti note arrivano dalla protagonista Dakota Johnson che è insipida, inadeguata e poco credibile per un ruolo del genere, un miscasting clamoroso che danneggia ulteriormente il film. E le musiche di Yorke sono non pervenute, sarebbe impietoso anche solo pensare di paragonarle all'iconica soundtrack dei Goblin, magistrale esempio di "pervasione immersiva". Insomma un film poco equilibrato, troppo lungo, privo di sequenze iconiche e con troppe ridondanze che lo appesantiscono inutilmente, segno di troppo amore o di troppa megalomania, probabilmente entrambe le cose, conoscendo il regista.
 
Voto:
voto: 3/5

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