mercoledì 24 marzo 2021

Pinocchio (2019) di Matteo Garrone

Ennesimo adattamento cinematografico del celebre romanzo per ragazzi scritto da Collodi nel 1883, "Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino". Una storia semplice e potente che ha commosso molteplici generazioni e ispirato tanti cineasti, anche d'oltre oceano, ma anche di non banale trasposizione, infatti non sono stati pochi i registi che ci si sono "rotti le ossa" (persino il grande Steven Spielberg con il farlocco "A.I. - Intelligenza artificiale"). Era quasi inevitabile che, prima o poi, vi si sarebbe confrontato anche quello che, attualmente, può essere considerato il miglior regista italiano in attività: Matteo Garrone. La storia è arcinota: il povero falegname Geppetto costruisce un burattino partendo da un pezzo di legno "magico", la marionetta prende vita e l'uomo gli si affeziona come a un figlio, a cui dà il nome di Pinocchio. Ma il burattino, che sogna di diventare un bambino vero in carne e ossa, non è esattamente obbediente e studioso come Geppetto sperava e la sua istintiva curiosità, unita ad un carattere discolo e credulone, faranno finire entrambi in un mare di guai. Il Pinocchio di Garrone è un film girato ad altezza di bambino, molto fedele al racconto ispiratore (in particolare alla prima versione a episodi del 1881), con un'anima volutamente "popolare", ma anche pregno del grande talento visivo dell'autore e, intimamente, del cuore pulsante della sua poetica: la capacità di trovare il fantastico nel reale e il reale nel fantastico. Sotto questo punto di vista questa apparente digressione del regista romano verso il cinema pop risulta non solo coerente con il suo naturale percorso artistico ma, addirittura, inevitabile, visto che Pinocchio è la fiaba italiana per eccellenza, ricca di metafore e commistioni con la realtà quotidiana. L'intero apparato estetico figurativo è di prim'ordine, dai costumi alle ambientazioni, dalla vivida rappresentazione di un mondo contadino umile (intriso di realismo "magico") agli effetti speciali artigianali sobriamente efficaci, fedeli alla concezione di fantasy dell'autore, che è molto distante da quella hollywoodiana di Tim Burton o Guillermo del Toro. Il bilanciamento tra la dimensione favolistica e quella realistica è perfettamente equanime, così come sono ben riusciti gli scarti grotteschi, vedi la rappresentazione della "fame" come elemento atavico e dominante di questo universo fiabesco che occhieggia al realistico. Solido anche il cast, in cui, tra Federico Ielapi, Rocco Papaleo, Massimo Ceccherini, Marine Vacth e Gigi Proietti, spicca un Roberto Benigni intenso e misurato nel ruolo di Geppetto. Due nomination agli imminenti Oscar 2021: costumi e trucco. Chi si è lamentato per una certa "freddezza" dell'opera e per lo sguardo "distaccato" del regista, evidentemente influenzati dal confronto inconscio con il celebre (e splendido) sceneggiato televisivo di Luigi Comencini del 1972, dimostra di conoscere poco il cinema di Garrone.
 
Voto:
voto: 4/5

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