domenica 28 marzo 2021

Sto pensando di finirla qui (I'm Thinking of Ending Things, 2020) di Charlie Kaufman

Una giovane ragazza viaggia insieme al suo compagno Jake per andare a conoscere i genitori di lui. Durante il tragitto in auto, avvolti da una tormenta di neve, lei continua a rimuginare sul desiderio di "farla finita", interrompendo la relazione sentimentale iniziata da poco. Una volta giunti alla fattoria dove vive la famiglia di Jake, i cui membri si dimostrano tanto ospitali quanto "strani", inizieranno ad accadere una serie di misteriosi fenomeni, via via più inquietanti e incomprensibili. Ma che cosa sta succedendo realmente? Il terzo film del talentuoso Charlie Kaufman regista (che già aveva messo in mostra la sua arte visionaria come sceneggiatore di diverse opere di "culto") è un dramma psicologico che ondeggia tra il thriller onirico, la commedia grottesca e il mélo esistenziale. E' oggettivamente complesso trovare una chiara catalogazione a questa pellicola o parlarne nel dettaglio senza correre il rischio di svelare particolari della "trama" che potrebbero poi rovinare la visione allo spettatore. Alla fine dei conti trattasi, ovviamente, di puro Kaufman: una sorta di compendio del suo cinema, dei suoi tormenti e delle sue depressioni. Anche in questo caso si possono utilizzare tutti gli aggettivi che puntualmente accompagnano Charlie Kaufman: intrigante, masturbatorio, colto, irritante, geniale, elitario, cervellotico, raffinato, angosciante, irridente, seducente. Niente di particolarmente nuovo, nè di originale, ma anche un lavoro più maturo, equilibrato e coeso sui temi che da sempre ossessionano l'autore: la psiche umana, i rapporti interpersonali, il male di vivere, il concetto di identità ed il senso di inadeguatezza. Il tutto magicamente sospeso in un caleidoscopio di immagini affascinanti e stranianti, tra psicanalisi e poesia. Una metafora onirica dei tortuosi percorsi dell'esistenza, dei bivi del destino, delle scelte sbagliate e delle occasioni perdute. Interpretazioni superlative (Jesse Plemons e Jessie Buckley sono magistrali, ma anche Toni Collette regge il passo), momenti  surreali impagabili e una miriade di citazioni stravaganti che faranno la felicità dei cinefili (ad esempio la "recensione" di Una moglie di Cassavetes è pura libidine da cinéphile). Qua e là è un po' troppo tirato per le lunghe e il finale finisce per debordare oltre misura, ma alla fine tutto si ricompone e rimane in asse con il senso intimo del film. E' un prodotto "arthouse" finemente cesellato che potrebbe risultare particolarmente ostico per il pubblico mainstream, ma è anche il miglior risultato finora ottenuto dal Kaufman regista. Un progetto d'essai che ha visto la luce solo grazie all'impegno e al coraggio di Netflix. Per amanti dei labirinti psicologici e delle pellicole weird.
 
Voto:
voto: 4/5

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