Nella Francia degli anni '90 un folto gruppo di giovani ballerini baldanzosi si riunisce per 3 giorni in una scuola abbandonata per sostenere una "maratona" di prove di danza sotto la guida della coreografa Selva. Mentre fuori impazza una bufera di neve, i ragazzi si scatenano in danze di gruppo, si conoscono, approfondiscono vecchie o nuove relazioni e alla fine si rilassano in un party di congedo. Ma qualcuno ha contaminato le bevande con una potente droga psicotropa che, in breve, avrà effetti travolgenti su ciascuno di loro. E se alcuni si sentiranno come "in Paradiso", per la maggioranza sarà invece l'inizio di un inferno di disperazione, panico, delirio e abbandono sfrenato alle più intime pulsioni. La situazione degenera rapidamente e la festa si trasforma in una folle baraonda di sesso e violenza. Climax è il quinto lungometraggio del controverso regista franco-argentino Gaspar Noé, per alcuni un urticante "genio" maledetto, per altri (compreso il sottoscritto) un truce cultore dell'estremo, di mano greve e sguardo morboso, che si compiace con tronfia enfasi della sua poetica di "sperma e sangue", mascherando la pochezza di contenuti con uno stile funambolico, esagitato e chiassoso, che provoca (volutamente) un senso di fastidio nello spettatore, ma che abbonda di sadico egocentrismo più che di ricchezza inventiva. Questo suo ultimo lavoro, presentato in anteprima al Festival di Cannes e sorprendentemente lodato dalla maggior parte dei critici, non fa eccezione: non aggiunge nulla di nuovo a quanto già ampiamente mostrato nelle pellicole precedenti, anzi ricicla idee, soluzioni visive e stilemi rocamboleschi già abusati nel suo infame "manifesto" Irréversible del 2002. Il prologo che anticipa il finale ricorda molto (rovesciandone il senso) l'epilogo del film con Monica Bellucci e Vincent Cassel, e lo stesso dicasi per l'utilizzo frastornante dei suoni, per le riprese capovolte, per le inquadrature mosse o sghembe e per le atmosfere malsane che evocano il male ancestrale insito nella natura umana. Non particolarmente originale, ma fedele alla sua provocatoria estetica dai contenuti torbidi, Noé mescola il dopo con il prima, il sopra con il sotto, mette i titoli di coda all'inizio e quelli di apertura dopo 20 minuti, intervallandoli con una serie di didascalie che enunciano seccamente slogan imperativi, a cominciare da quello che definisce il film come "orgogliosamente francese". E' palese che l'autore faccia di tutto per rendersi snobisticamente antipatico e crudelmente sgradevole, alimentando la sua fama sinistra e giocando sempre sul filo dello scandalo, ma il vero problema è che, dietro a tutto questo, non ci sia quasi nulla al di fuori di una banale ripetizione di sè stesso e di una ricerca programmatica dello shock visivo. Climax può essere idealmente diviso in tre parti: una serie di interviste mostrate su uno schermo televisivo attraverso le quali conosciamo il carattere dei protagonisti principali (quasi tutti interpretati da attori non professionisti, al di fuori della sensuale Sofia Boutella, che è stata "corteggiata" a lungo dal regista prima di accettare questo ruolo), una lunga scena di ballo scatenato che ci mostra l'espressività fisica di ciascuno dei danzatori (girata in un unico piano sequenza e spesso con la macchina da presa collocata in alto, "a piombo" sugli interpreti) e infine l'esplosione del caos, la discesa agli inferi finale in cui la festa si trasforma in un baccanale orgiastico, a metà strada tra il sabba satanico, il delirio lisergico e l'esplosione nevrotica. Va detto che l'esposizione grafica di sesso e violenza risulti più "attenuata" rispetto alle precedenti opere dell'autore (e questo è un bene), anche grazie allo stile visivamente stordente che preferisce fare intuire piuttosto che spiattellare le sequenze più forti, rendendo il tutto meno efferato del solito. Attraverso il particolare di una pila di videocassette, tenute in video per l'intera durata delle interviste della prima parte, Noé ci suggerisce i suoi "numi tutelari" a cui si è liberamente ispirato in quest'ultimo lavoro: da Pasolini (Salò) a Fassbinder, da Romero a Zulawski, senza dimenticare Dario Argento (il regista ha pubblicamente dichiarato che l'intera sequenza finale della "mattanza" è un omaggio visivo a Suspiria). E i cinefili più attenti non potranno non aver notato il momento in cui Sofia Boutella "imiti" Isabelle Adjani nella scena più celebre di Possession (1981). Per quanto apprezzabile, non basta però un colto esercizio di cinefilia "maledetta" a sollevare le sorti di una pellicola che, stringi stringi, non va oltre ciò che ti aspetti da Gaspar Noé. Ed è esattamente questo il suo limite maggiore, o, secondo gli ammiratori dell'autore, il suo pregio. Il mondo è bello perchè vario.
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