giovedì 10 marzo 2022

Enrico V (Henry V, 1989) di Kenneth Branagh

Nell'Inghilterra del 1415 il giovane re Enrico V Plantageneto, retto e risoluto, viene spinto dall'influenza delle autorità ecclesiastiche e dalla sua corte di consiglieri all'impresa dell'invasione militare della Francia, rivendicando un suo presunto antico diritto sul trono francese, attualmente in possesso del sovrano Carlo VI. La campagna bellica si rivela ben presto difficile oltre ogni previsione ed Enrico deve affrontare un nemico enormemente soverchiante nel numero di forze in campo, ma anche una serie di congiure interne. Tuttavia l'eroismo degli inglesi e la fiera tenacia del loro re li porterà ad una incredibile vittoria nella memorabile battaglia di Azincourt, che farà salire Enrico V agli onori della gloria, aprendogli la strada verso un matrimonio politico con la figlia di Carlo VI e la conquista del trono di Francia. Folgorante esordio in cabina di regia di Kenneth Branagh, qui nella tripla veste di regista, sceneggiatore e attore protagonista. Considerato da molti un giovane prodigio del cinema e del teatro britannico, grande appassionato e conoscitore di Shakespeare che ha mosso i suoi primi passi sulle orme del suo nume tutelare, il leggendario Laurence Olivier, Branagh viene generalmente visto in patria come il suo naturale "erede", non senza benevola esagerazione. E non è un caso che la sua opera prima, tratta dall'omonimo dramma storico shakespeariano, sia proprio il rifacimento del capolavoro Enrico V (The Chronicle History of King Henry the Fiftth with His Battle Fought at Agincourt in France, 1944), diretto e interpretato da Laurence Olivier e rimasto impresso nella storia del cinema britannico. La versione di Branagh è meno epica e meno grandiosa, ma più furiosa, tetra, brutale, svelta e vicina alla sensibilità moderna. Sia nelle ruvide sequenze di battaglia che nel disegno psicologico dei personaggi, il nuovo Enrico V appare più scattante e schietto, molto fedele al testo "sacro" del Bardo ma esteticamente cupo e ideologicamente appassionato. Un po' debole nel finale alleggerito da indulgenze romantiche, si avvale però di alcune sequenze notevoli, di una trascinante frenesia e della pregevole invenzione del "Coro" ridotto ad un unico personaggio (lo straordinario Derek Jacobi), una sorta di narratore collocato in tempo moderno che, rivolgendosi direttamente agli spettatori, introduce, spiega e sostiene l'azione, accompagnando le immagini con monologhi di stampo teatrale. Di grande livello il cast, che, oltre a Branagh e Jacobi, vede in scena Brian Blessed, Ian Holm, Robbie Coltrane, Judi Dench, Richard Briers, Richard Easton, Emma Thompson (all'epoca moglie del regista) ed un giovanissimo Christian Bale. Il film ebbe tre nomination agli Oscar (tra cui miglior regia e miglior attore protagonista per Kenneth Branagh) e vinse la statuetta per i migliori costumi di Phyllis Dalton, al suo secondo Oscar dopo quello già ottenuto per Il dottor Zivago (Doctor Zhivago, 1965) di David Lean.
 
Voto:
voto: 3,5/5

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