La fotografa Clélia, molto apprezzata nel suo ambiente per la sua abilità, viene assunta da Lucien Macroi, ricco magnate della stampa scandalistica, ma riesce a sottrarsi al suo corteggiamento asfissiante. Clélia finisce per sposare il raffinato editore Clèves, invero più per ammirazione e riconoscenza che per amore, ma la sua fedeltà viene messa a dura prova dall'incontro fatale con il tormentato Nemo, reporter d'assalto che vive la sua vita all'eccesso e con cui, un tempo, c'era già stato del tenero. Questo tesissimo melodramma ad effetto, scritto e diretto da Andrzej Zulawski e liberamente ispirato al romanzo "La principessa di Clèves" di Madame de La Fayette, segna la quarta e ultima collaborazione tra il regista e la sua "musa" (e all'epoca compagna di vita) Sophie Marceau. Ben interpretato da un cast in gran forma, che oltre alla diva francese vede la presenza di Pascal Greggory, Guillaume Canet, Magali Noël e Michel Subor, è un film lungo, intenso, complesso, cupamente "romantico" alla maniera dell'autore, denso di spunti, di intrecci, di sottotesti impegnati e di lampi di critica sociale, pur rimanendo estremamente fedele all'idea di cinema di Zulawski, in bilico sui confini dell'estremo, del metafisico e del turpe. E' uno dei film più equilibrati dell'autore polacco, un ritratto psico-sentimentale costruito sui dissidi: tra fedeltà e desiderio, borghesia e anarchia, messe a fuoco e sfocature, anima e carne, violenza e tenerezza. L'espediente della fotografia è una sorta di "terzo occhio" che costruisce un ulteriore livello privilegiato attraverso cui lo sguardo del regista ispeziona, analizza, accarezza, fruga e mette a nudo il corpo, le pulsioni e i tormenti interiori della sua protagonista, costruendo percorsi arcani e dedali tortuosi, a base di allegorie, esasperazioni, perlustrazioni, all'insegna di un feticismo visivo eseguito con geometrica precisione. Gli svariati virtuosismi stilistici nel racconto per immagini e nelle inquadrature, rendono perfettamente il senso di sbandamento emotivo, l'angoscia interiore, l'intimo disagio di Clélia che è tanto audace e sicura di sè quando impugna la macchina fotografica, quanto disarmata e confusa nella vita sentimentale. Distribuito in Italia con 2 anni di ritardo, questo ennesimo ritratto di Zulawski su quella violenta "follia" che è l'amore, ne declina un inno, incandescente e problematico, che vede nell'arte l'unica estrema possibilità di salvezza, la prospettiva illuminata che consente alle passioni di liberarsi dal giogo delle convenzioni moralistiche e di librarsi leggere, nella loro tragica bellezza, anche solo per un attimo, per un fugace battito di ciglia, come in uno scatto fotografico.
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