domenica 4 gennaio 2015

Accattone (Accattone, 1961) di Pier Paolo Pasolini

Vittorio Cataldi, detto "Accattone", è un sottoproletario di una borgata romana che vive di espedienti, sbarcando il lunario tra furti, imbrogli e volgare indolenza. Sfrutta le donne, costringendole a prostituirsi e pretendendo il compenso per la sua “protezione”, fino a che s’innamora di Stella, che cerca di convincerlo a cambiar vita trovando un lavoro onesto. Finale tragico. Straordinario esordio cinematografico di Pasolini con quest’opera capitale, ritratto realistico e feroce di un mondo parallelo e degradato, le fatiscenti borgate romane, coacervo di sbandati, disperati e disadattati, negli anni del boom economico. Sospeso tra lirismo tragico e neorealismo postumo, supera le intenzioni del celebre movimento che fece grande il cinema italiano negli anni ’40 e ’50, esasperandone tematiche, toni e risultati, e dando vita ad un ritratto crudo e selvaggio di quel mondo, tanto brutale quanto puro, che l’autore conosceva perfettamente per frequentazione diretta ed empatia affettiva. Lucido e spietato nella sua analisi sociologica e nella sua veemente denuncia civile, il film non nasconde uno sguardo compassionevole nei confronti del protagonista che è sì un barbaro reietto ma anche una vittima del sistema politico capitalistico che, mentre costruisce l’Italia del "benessere" e la borghesia di domani, lascia ai margini le classi subalterne, condannandole all’inferno quotidiano. Sono stati pochi gli esordi cinematografici di cotanto spessore e di tale deflagrante impatto sulla cultura, sul pensiero e sull’emotività popolare. In tal senso Accattone appare come la naturale traduzione in immagini dei primi due controversi romanzi dell’autore: Ragazzi di vita e Una vita violenta, che affrontano entrambi, dal di dentro, la dura realtà delle borgate capitoline: un mondo acre e violento fatto di miseria, sporcizia, degrado morale, appetiti bestiali ma anche di un’ingenuità primordiale e di una libertà selvaggia, a loro modo assolute, perché non corrotte dall’arrivismo rapace del consumismo borghese che tutto omologa, conforma e, quindi, spersonalizza. Accattone possiede il rigore del documento e la passione del romanzo ed innalza una piccola anonima storia di ordinario squallore in una parabola ieratica, di alto spessore tragico e di magistrale densità tematica, che vira nell’epico e sfiora il religioso, assumendo i contorni di un dramma esistenziale assoluto, un’odissea fatale alla ricerca della Grazia, catarsi che, però, non spetta agli emarginati, condannati a priori. Con uno stile spartano ma poetico, Pasolini pone le basi della sua estetica grazie ad una fotografia spettrale, un montaggio frenetico e l’audace accostamento tra le immagini "sporche" e la purezza sacrale delle musiche di Bach, un ossimoro pregno di fervida creatività visionaria. Girato in economia nei luoghi simbolo della periferia romana (Casilina, Centocelle, il Pigneto, borgata Gordiani, la Marranella), con attori non professionisti (tranne il bravissimo Franco Citti nel ruolo di "Accattone"), fu duramente contestato, per motivi politici, alla sua uscita ed ebbe grossi guai con la censura (come tutte le successive opere dell’autore) che portarono addirittura ad un temporaneo ritiro dalle sale. Resta, a tutt’oggi, un capolavoro scomodo ed un’istantanea insuperabile di una realtà sociale "maledetta", perennemente tenuta nascosta dal moralismo politico di quegli anni: la Roma delle baracche, la Roma di fango e di stracci, la Roma dei campi sterrati e dei "montarozzi", la Roma ormai dimenticata, fagocitata dal cemento di nuovi ghetti in cui seppellire i sogni dei "randagi" metropolitani.

Voto:
voto: 5/5

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