Il vagabondo Gino arriva in un ristoro
per viaggiatori nella bassa Padana, dove diventa l’amante di Giovanna, moglie
del proprietario Giuseppe Bragana. Tra alti e bassi, rimorsi e ripensamenti, la
relazione tra i due è tormentata ma appassionata, fino a quando la donna, che
detesta profondamente il marito, convince Gino ad ucciderlo, simulando un
incidente stradale. Dopo la morte del Bragana i due amanti clandestini escono
allo scoperto e vanno a vivere insieme, ma la gente parla e la polizia sospetta
qualcosa. Liberamente ispirato al famoso romanzo “Il postino suona sempre due volte” di James M. Cain, più volte
adattato per il grande schermo, questo formidabile esordio di Visconti è un
capolavoro del cinema italiano, che ruppe definitivamente con la tradizione
dell’epoca, che produceva o film di propaganda del regime fascista o il così
detto cinema dei “telefoni bianchi”, costituito da commedie bonarie di stampo
edificante. Questa straordinaria opera viscontiana, tra l’altro uscita quando
Mussolini era ancora al potere, ebbe un effetto devastante sul cinema italiano
perché mostrò, per la prima volta, un genere nuovo, caratterizzato da uno stile
asciutto, un intenso realismo espressivo nelle ambientazioni e nelle
situazioni, una carnalità audace (le scene di passione fisica tra i due amanti
fecero scalpore) ed una tensione narrativa di struggente risalto drammatico.
Più che un semplice film trattasi di pietra miliare, opera fondamentale per il
rinnovamento del cinema italiano, nella quale la maggior parte dei critici scorge
la nascita, inconsapevole, dell’imminente neorealismo, movimento che darà
lustro e rilevanza mondiale al nostro cinema. In effetti quest’opera capitale
di Visconti, pur non avendo la caratteristica degli attori non professionisti
presi dalla strada, presenta molti altri stilemi che saranno tipici del
neorealismo ed è indubbio che ne rappresenta il più autorevole precursore. Alla
sua uscita la pellicola suscitò scandalo e venne ritirata dalle sale, poi vietata
ed infine distrutta dal regime repubblichino di Salò. Ma, per fortuna, il
regista riuscì a salvare una copia del negativo, tenendolo nascosto fino alla
fine della guerra. Tra i tanti elementi innovativi di questo melodramma torbido
vanno segnalati: l’esplicitazione della sensualità maschile, per la prima volta
esibita come oggetto di desiderio per una donna, assoluta novità per il cinema
italiano. Emblematica, in tal senso, l’entrata in scena di Gino, che arriva
nello spaccio ripreso di spalle e il cui volto ci viene mostrato, in primo
piano, solo dopo che Giovanna lo ha visto, guardandolo con evidente interesse, quindi
filtrato attraverso la prospettiva femminile. Altro elemento assolutamente
originale, e scottante, è il latente approccio omosessuale dello spagnolo, un
proletario amico del protagonista, che guarda il corpo di Gino seminudo con
evidente turbamento sessuale. Questa scena, subito tagliata dalla censura, fu
quella che causò al film i guai peggiori. Va ricordato che il grande regista
milanese era omosessuale ma, per ovvi motivi, a quei tempi era impossibile
palesare una simile tendenza. E come non citare l’uso realistico degli ambienti
naturali, ad esempio le celebri sequenze sul delta del Po, il cui risalto
stilistico gli dona una valenza espressiva così pregnante da assimilarli ad un
vero e proprio protagonista aggiunto. E ancora la crudezza nell’esposizione dei
sentimenti, quasi imbarazzante per la sua modernità, e da cui traspare
chiaramente la formazione francese del giovane Visconti, avvenuta alla “corte”
di Renoir. Tra le scene memorabili della pellicola ne segnaliamo una
introspettiva di grande spessore tragico: Gino e Giovanna che camminano, vicini
ma scuri in volto, sulla riva del Po, con le loro espressioni che ne simboleggiano
il rimorso e il tormento interiore. Nel cast brillano i due amanti
protagonisti, Massimo Girotti e Clara Calamai, nel ruolo che doveva essere di
Anna Magnani, costretta però a rifiutare per una gravidanza in corso.
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