domenica 25 gennaio 2015

Pasolini (Pasolini, 2014) di Abel Ferrara

Roma, 1 novembre 1975, ultimo giorno di vita di Pier Paolo Pasolini, regista, poeta, scrittore, intellettuale, omosessuale, anticonformista, provocatore, figura di spicco e di “rottura” tra le più eminenti ed originali del secolo scorso. La sua vita, la sua opera e la sua morte hanno tracciato una parabola esistenziale unica, sospesa tra genio e perdizione, poesia e trasgressione, paradiso e inferno, la cui eredità culturale, filosofica, politica e morale è ancora ben viva, oggi più che mai, in un’epoca che ha visto avverarsi molte delle sue lungimiranti previsioni. L’italoamericano del Bronx, il “bad boy” del cinema americano, Abel Ferrara, ci racconta, in immagini, quel grigio giorno di Ognissanti del 1975 e quella notte maledetta sul litorale romano, quando il percorso terreno del regista poeta s’interruppe, bruscamente e brutalmente, in uno squallido campetto di calcio, tra baracche ed immondizia, nel buio dell’Idroscalo di Ostia, con il mare ad un passo ed una teatralità così tragica che neanche Pasolini stesso avrebbe saputo inscenare. Assistiamo dunque, in rapida sequenza, ad un’intervista per un giornale francese in cui Pasolini parla del suo ultimo film, Salò o le 120 giornate di Sodoma, che ancora doveva uscire nelle sale e già suscitava furibonde polemiche per il suo contenuto scioccante, di cui vediamo anche scorrere alcune sequenze. Poi assistiamo al ritorno del poeta nella sua casa romana, il tenero rapporto con la madre e la sorella, che lo chiamano “Pieruti”, in dialetto friulano,  il pranzo con suo cugino Nico Naldini e l’attrice Laura Betti (che dice di avere appena finito di girare Vizi privati, pubbliche virtù di Miklós Jancsó e racconta anche del suo recente doppiaggio della voce del diavolo nel celeberrimo horror americano L’esorcista), la famosa ultima intervista concessa a Furio Colombo (quella del “siamo tutti in pericolo!”), la cena con Ninetto Davoli e famiglia all’abituale ristorante “Pommidoro” di San Lorenzo, per parlargli del suo prossimo film, in cui Davoli avrebbe dovuto recitare insieme a Eduardo De Filippo, Porno-Teo-Kolossal, una versione alternativa e donchisciottesca dell’epifania, dal punto di vista di uno dei Re Magi. E poi ancora: momenti di riflessione e di scrittura del suo ambizioso romanzo, “Petrolio”, rimasto incompiuto, fino alla sua ultima notte “proibita” romana, nei viali vicino alla stazione Termini, a bordo della grigia Alfa Romeo sportiva, in cerca di uno dei suoi “ragazzi di vita” con cui soddisfare i propri appetiti sessuali, in qualche squallido angolo buio di periferia. Il resto è cronaca: l’incontro con il giovane sbandato Pino Pelosi, detto “la rana”, la cena al “Biondo Tevere” di via Ostiense, il misero campetto all’Idroscalo di Ostia, il rapporto omosessuale e la tragica morte, massacrato di botte da misteriosi assalitori e poi investito dalla sua stessa auto. Ferrara ci mostra la sua versione dei fatti, non che la cosa sia poi così importante nell’economia del film, rinunciando sia alla ridicola tesi ufficiale (secondo cui fu solo Pelosi ad uccidere Pasolini, in seguito ad un litigio scaturito da richieste sessuali “particolari” da parte del poeta), sia a quella, più effettistica, del complotto di matrice politica (Pasolini era scomodo a molti e le sue sferzanti denuncie creavano non poco “imbarazzo” ai poteri forti). Il regista del Bronx sceglie una via di mezzo, effettivamente realistica, secondo cui Pasolini sarebbe stato ucciso da un gruppo di tre balordi, giunti sul posto per una rapina, e poi scatenatisi contro di lui per odio omofobico. Come ben sappiamo, Pelosi fu l’unico ad essere condannato per il delitto, scontando nove anni di carcere, e la sentenza negò ogni coinvolgimento di altre persone. Ma, nel 2010, il caso giudiziario è stato riaperto, dopo l’intervista al Pelosi, che ha clamorosamente ritrattato la sua confessione del 1976, grazie anche all’azione incessante di politici come Walter Veltroni e di molte figure eminenti della cultura italiana. Questo Pasolini di Ferrara è un biopic atipico diviso tra due anime: realtà e sogno, vita e arte. Nella prima ci viene mostrato il poeta nelle normali attività del suo ultimo giorno terreno: Ferrara opta per una scarna purezza espressiva, con evidente richiamo all’estetica delle prime pellicole pasoliniane,  mettendo in risalto il suo pensiero, le sue idee, la sua arte, piuttosto che la fredda cronaca dei fatti. Ma se Willem Dafoe è incredibilmente somigliante a Pasolini, il risultato complessivo è sì rispettoso, ma frammentario, calligrafico e riesce a restituirci ben poco dell’enorme portata culturale, politica e filosofica dell’intellettuale bolognese. Assistiamo, quindi, ad una sequenza di omaggi e di riferimenti precisi, che comunque faranno la gioia degli ammiratori e degli studiosi di Pasolini, che ne mimano e ne ripetono gestualità e detti famosi, replicandone la forma a discapito dell’essenza. Ma è altresì ovvio che sarebbe stato impossibile raccontare degnamente Pasolini in un solo semplice film, tanto più uno breve e condensato in un’unica simbolica giornata di vita, come questo di Ferrara. Dove invece la pellicola decolla, prendendo percorsi visionari di notevole suggestione, è nella sua anima onirica, quando Ferrara ci mostra, con immagini di pregnante allegoria, tra l’altro profondamente pasoliniana, una rappresentazione visiva dei progetti artistici del protagonista: frammenti di “Petrolio”, tra cui la scena della fellatio di gruppo nel campetto di periferia, da cui traspare, con immagini crude ed efficaci, tutto il manierismo viscerale e violento del regista del Bronx, e, soprattutto, ipotetiche sequenze di Porno-Teo-Kolossal, con il “fedele” Ninetto Davoli nel ruolo di Epifanio/Eduardo (anche se parla in romanesco) e Riccardo Scamarcio in quello del giovane Ninetto. Tutta la parte di Porno-Teo-Kolossal, ambientata nella Roma moderna, è il punto più alto del film, quello in cui meglio si esplicita la dualità dell’essenza di Pasolini, diviso tra poesia e peccato, misticismo e perdizione, con l’amara constatazione della mancanza di senso, punto di arrivo cruciale della sua analisi intellettuale, senza però che questo implichi una resa ideologica. Le scene dell’orgia catturano degnamente il rapporto sesso-politica, tipicamente pasoliniano, mentre quelle della vana ascesa in Paradiso ne rimandano il genio visionario, l’altezza poetica ed il problematico cinismo filosofico. Altri momenti splendidi del film di Ferrara, due piccole gemme brillanti ma semi nascoste, sono il toccante abbraccio dell’amata madre al risveglio del poeta ed il lirico inserto della partita a pallone con i ragazzi, in un terroso campetto di periferia, con Pasolini felice che corre, dribbla e calcia, “in abiti da signore”. In alcune scene il regista americano s’interroga sul ruolo e sul destino dell’intellettuale nella società moderna e dimostra di avere realmente ammirato e studiato Pasolini, infatti cerca di tradurne in immagini, riuscendoci in parte, il concetto secondo cui: “scandalizzare è un diritto, essere scandalizzati è un piacere. […] Ma lo scandalo di per sé non significa nulla se non ha un significato politico”. Questo film di Ferrara è controverso, diseguale, ma possente e appassionato. Alla teoria del complotto preferisce, saggiamente, quella della rabbia proletaria e più che sul documento di cronaca pone l’accento sull’arte, dando forma concreta alle idee del poeta attraverso immagini forti, allucinate e visionarie. Presentato al Festival di Venezia è stato snobbato dalla giuria e ha diviso in due la critica, generando sconcerto o ammirazione. E’ dunque, anche solo per questo, da vedere.

Voto:
voto: 4/5

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