venerdì 30 gennaio 2015

Il disprezzo (Le mépris, 1963) di Jean-Luc Godard

Lo scrittore Paul Javal, che vive a Roma con la bella moglie Camille, viene chiamato dal produttore americano Prokosch per scrivere un adattamento de “L’Odissea”, da cui trarre un film diretto da Fritz Lang. Durante i primi contatti con produttore e regista, tra Cinecittà e l’isola di Capri, la coppia appare in crisi profonda e Paul sembra non battere ciglio di fronte alla corte assidua di Prokosch nei confronti di Camille. Nel giro di due giorni avverrà la rottura sentimentale e la donna lascerà l’isola campana insieme al produttore, in direzione Roma. Dal romanzo omonimo di Alberto Moravia, Godard ha tratto uno dei film più famosi, più costosi e di maggior successo della sua carriera. Fu prodotto da Carlo Ponti, che avrebbe voluto la coppia “storica” Marcello Mastroianni e Sophia Loren nel ruolo dei due protagonisti, ma il regista optò per una soluzione diversa, e, dopo il rifiuto di Frank Sinatra e Kim Novak, la parte andò a Michel Piccoli e Brigitte Bardot, che qui, al massimo del suo splendore fisico, ci regala anche la più celebre interpretazione della sua carriera. Il disprezzo è un film solare, luminoso, mediterraneo come le sue ambientazioni, perfettamente esaltato dalla saturazione cromatica della fotografia in technicolor. Sotto la patina di critica al disvalore della media borghesia europea, l’opera nasconde un sontuoso omaggio al Cinema ed al suo ruolo, rinnovato dalla Nouvelle Vague, di “occhio”privilegiato, attraverso cui filtrare la vita, che, in questo caso, assume le fattezze di una tragedia. Geniale la sovrapposizione tra il film e l’Odissea, con Lang che diventa Omero ed il tema del viaggio, fondamentale, che si fa metafora del percorso dell’uomo occidentale, smarrito, alla ricerca di una sua identità nel nuovo modello sociale. Il risultato è un film stupefacente, perfetto nella sua equilibrata commistione tra modernità e classicismo, romanticismo e realismo. Interessante la rilettura eseguita da Godard sulla crisi della coppia moderna, alla luce del rinnovamento dei costumi, dello sdoganamento dei tabù sessuali e dell’emancipazione femminile: accantonate le ingenue illusioni di “amore eterno”, fondate sul vincolo del matrimonio religioso, i segni del disagio sentimentale sono diventati più sotterranei, più intimi, più subdoli, come evidenziato dalla lunga sequenza della “scenata” posta, emblematicamente, nella parte centrale della pellicola e conclusa con la celebre frase tagliente che dà titolo al film. Il disprezzo è anche un’opera carnale e, in tal senso, omaggia, esaltandolo ed assecondandolo, il corpo statuario della Bardot in tutta la sua prorompente carica erotica. Il personaggio di Camille è, praticamente, l’incarnazione dell’icona “BB”, esposta al top del suo fascino divistico, nell’immaginario del pubblico. Ponti chiese inizialmente al regista di girare tre scene di nudo della famosa attrice, ma Godard mantenne solo la prima, famosissima, che appare nel prologo e che è divenuta una sorta di spot della sexy diva francese. Il rapporto professionale tra il regista e l’attrice fu comunque freddo, scostante e numerosi sono stati gli aneddoti in merito, fuoriusciti dai “dietro le quinte” del set. Esistono due diverse versioni del film: quella originale di 105 minuti, straordinaria, e quella italiana, pessima, inopinatamente tagliata dal produttore di circa 20 minuti, censurando e modificando molte sequenze (tra cui anche il famoso nudo iniziale della Bardot), al punto da disperdere il senso reale dell’opera. Il regista ha sempre disconosciuto la versione italiana voluta da Ponti. Nel dvd, uscito nel 2004, sono presenti entrambe le varianti. Da segnalare, nel cast, la partecipazione del Maestro Fritz Lang nel ruolo di se stesso e di Jack Palance, che pure ebbe un rapporto burrascoso con Godard, nel ruolo di Prokosch.

La frase: “Quando sento parlare di cultura, metto mano al libretto degli assegni.

Voto:
voto: 4,5/5

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