martedì 20 gennaio 2015

Niente da nascondere (Caché, 2005) di Michael Haneke

La quotidianità di Georges, giornalista letterario, e di sua moglie Anne, viene sconvolta dall’arrivo di misteriose videocassette anonime, regolarmente lasciate da sconosciuti davanti alla porta del loro appartamento, in cui qualcuno ha filmato momenti di vita privata della coppia. E’ solo l’inizio di un “gioco” angosciante che diventa sempre più opprimente: dopo le cassette sarà la volta di inquietanti disegni, telefonate, avvertimenti. La polizia non offre una valida collaborazione, perché non ci sono minacce concrete, e Georges inizia a indagare da solo, fino a che un oscuro segreto non riemerge dai ricordi della sua infanzia. Formidabile thriller geometrico del grande regista austriaco, che ci regala un'altra incursione nel mistero dei codici di comportamento umani, da sempre tema portante e motivo primario d’interesse del suo cinema. Lo stile è quello tipico di Haneke: glaciale, rigoroso, asettico, senza alcuna concessione al superfluo o allo spettacolare, in favore di una fertile ambiguità tematica che lascia intendere che anche questo suo opus numero nove nasconda un “caché”, ovvero sia la metafora ermetica di qualcos’altro. I temi, invero neanche troppo celati, sono quelli della colpa, di una classe media europea intellettuale, edonista e con molti “scheletri” nell’armadio, e della verità, come sempre relativa, multiforme e di ardua decifrazione logica. Dal punto di vista tecnico la pellicola è magistrale per il patos che riesce a costruire attraverso i silenzi, enfatizzati dalla totale assenza di colonna sonora, le inquadrature statiche e le atmosfere opprimenti, che ci mostrano come un elemento esterno invasivo va ad intaccare un mènage familiare, svelandone le debolezze, i lati oscuri, i rimorsi celati, i rancori taciuti, fino ad intaccarlo dall’interno, sfruttandone mali intrinseci già presenti, il “cachè” del titolo originale. Assolutamente geniale è poi l’apologia del voyeurismo, che rappresenta il cuore del film, che viene esplicitato attraverso l’occhio misterioso, la telecamera che spia, non vista, la vita dei protagonisti. Emblematici, in tal senso, prologo ed epilogo dell’opera, che, senza fornire alcuna spiegazione, lasciano intendere come, dietro quell’occhio impietoso, ci potrebbe essere chiunque, forse lo spettatore stesso, perché il voyeurismo è da sempre connesso con la fruizione cinematografica, che è una potente allegoria dell’atto dello spiare. Notevole è anche il parallelismo tra il montaggio del “regista” misterioso, che decide di volta in volta cosa mostrare nelle vhs, e quello, psicologico, eseguito dal protagonista con il viaggio a ritroso nella sua memoria, in cui deve decidere, dolorosamente, cosa tenere e cosa mollare, anche se solo grazie all’elemento onirico riuscirà a venirne a capo. Nel cast brillano tutti gli attori principali, Juliette Binoche, Daniel Auteuil e Annie Girardot nel ruolo della madre di Georges. Premiato al Festival di Cannes con il premio alla regia, è un nuovo agghiacciante ritratto intellettuale di Haneke sulla famiglia borghese, ancora una volta sotto il segno della negazione, in questo caso delle certezze consolidate, per favorire l’affioramento del rimosso.

Voto:
voto: 4,5/5

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