giovedì 22 gennaio 2015

Ombre rosse (Stagecoach, 1939) di John Ford

Nel New Mexico di fine ‘800 una diligenza viaggia, nelle terre selvagge, dalla città di Tonto verso un avamposto militare a Lordsburg. Su di essa viaggiano uno sceriffo, un baro, una prostituta, un medico alcolista, una donna incinta, un venditore di liquori ed un banchiere truffatore. A questi si unisce l’avventuriero Ringo Kid (John Wayne), evaso dal carcere e ricercato dallo sceriffo. Mentre si stabiliscono i rapporti umani e i personaggi svelano il loro vero volto, la diligenza sarà attaccata dagli apache, che sono sul piede di guerra. Vagamente ispirato al “Boule de suif” di Maupassant, questo splendido film di John Ford è da ritenere, a pieno diritto, il western fondante, ovvero il padre indiscusso del western classico, per altezza artistica, maturità espressiva, complessità dell’intreccio, influenze sulle pellicole successive e spessore emblematico dei numerosi personaggi, ciascuno rappresentativo di un microcosmo di umanità. Secondo molti critici è il più grande western mai realizzato, soprattutto per la profondità dell’analisi antropologica e la numerosità dei piani di lettura. Sebbene gli preferisca il successivo Sfida infernale, sempre dello stesso autore, è impossibile non collocare Ombre rosse, per i suoi indiscutibili meriti, tra i vertici del genere. Gli elementi cardine dell’opera sono simbolici: la diligenza, ovvero un microcosmo in cui interagiscono individualità diverse ed archetipe, dal cui scontro si genera l’azione drammatica che costituisce l’humus narrativo, ed il viaggio, elemento principe del cinema fordiano, che qui rappresenta l’avanzare della “civiltà” nel cuore della “barbarie”, in accordo al manicheismo schematico del regista nella prima parte della sua carriera. Ma la complessità tematica è garantita dal fatto che gli scontri tra opposti, bene/male, giustizia/illegalità, moralità/dissolutezza, sono già insiti, e quindi preesistenti, nel microcosmo/diligenza, a prescindere dall’arrivo dei pellerossa. La rappresentazione della “civiltà” operata dal regista (i passeggeri del convoglio), ci appare critica, sfaccettata, densa di sfumature e di ambiguità, e non priva di clamorosi ribaltamenti delle apparenze iniziali. Tutto questo innalza la pellicola ben oltre i canoni del western tipico (che a quel tempo era considerato un genere minore, principalmente rivolto ai giovani), conferendogli la dignità di un solenne apologo morale di matrice universale. Ovviamente non vanno dimenticati il grande spirito avventuroso, l’azione incessante delle scene di battaglia, il romanticismo dei grandi spazi fordiani, la teatralità dei momenti topici e la pregnante simbologia, che sempre accompagnerà ogni opera eccellente dell’autore. La sua grandezza ed il suo grande successo popolare lo imposero come il primo western classico, che ricodificò definitivamente gli stilemi del genere, “imponendo” i suoi canoni, che in seguito diverranno gli elementi tipici del western. Da questo film in poi, fatta salva qualche importante eccezione, come le “incursioni” nel genere di Howard Hawks, e fino all’arrivo degli innovatori Sam Peckinpah e Sergio Leone (che ne decreteranno la “morte”), si stabilirà la legittima equazione “cinema western uguale John Ford”. E’ anche il film che ha dato il successo internazionale al “duca” John Wayne, attore storico di Ford, da tutti ritenuto, insieme a Clint Eastwood, la più celebre icona del genere western. La sua entrata in scena, facendo roteare il fucile e con la sella a tracolla, è rimasta scolpita nell’immaginario collettivo, così come l’assalto indiano alla diligenza ed il liberatorio “arrivano i nostri” finale a suon di tromba. Con la teatralità e la faccia tosta che poi caratterizzano tutti i suoi personaggi, Wayne entra sia nel film sia nella storia del cinema. Candidato a 7 premi Oscar ne vinse due: Thomas Mitchell, attore non protagonista e colonna sonora. La celebre scena, divenuta un’icona del western, dell’attacco indiano alla diligenza fu girata nella Monument Valley con l’ausilio di automobili, sulle quali vennero installate le macchine da presa per stare al passo dei cavalli in corsa durante le scene in movimento. Questa importante novità tecnica diventerà un altro dei marchi di fabbrica fordiani.

Voto:
voto: 5/5

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