mercoledì 21 gennaio 2015

Tempi moderni (Modern Times, 1936) di Charlie Chaplin

Charlot lavora, come operaio, alla catena di montaggio di una fabbrica, regolata da ritmi di lavoro disumani e dalla corsa alla meccanizzazione, per ottimizzare il profitto a danno della dignità dei lavoratori. Viene usato come cavia per mostrare il funzionamento di un diabolico macchinario, che serve ad evitare lo “spreco” di tempo della pausa pranzo delle maestranze, ma finisce inghiottito negli ingranaggi. Licenziato, s’innamora di una ragazza e prova a iniziare con lei una vita nuova, da uomo libero. Nonostante le difficoltà e le preoccupazioni per il futuro, i due s’incamminano, a braccetto e colmi di speranza, verso il loro avvenire. Capolavoro assoluto di Chaplin e ultimo film in cui compare il leggendario personaggio di Charlot. Nonostante il sonoro fosse già entrato, prepotentemente, nelle produzioni cinematografiche, il grande regista britannico continua a prediligere i ritmi del cinema muto, a lui più congeniali, ed in questo possente inno alla dignità dell’uomo, contro gli abomini consumistici e l’egemonia delle macchine, bandisce i dialoghi, limitandosi agli effetti sonori e alle musiche, bellissime, da lui stesso composte. Lo spessore della denuncia sociale non inficia la vis comica dell’opera, anzi finisce per enfatizzarne il valore didascalico, rivolto alle masse, agli emarginati della Grande Depressione, ai disperati attratti dalle chimere del comunismo, perché Chaplin è stato sempre, e in questo film più che mai, dalla parte degli umili. Chi ci ha visto, con non poca prevenzione politica, un apologo anticapitalistico con simpatie bolsceviche, ne ha frainteso la purezza di spirito, che, invero, non è esente da ingenuità. La critica mordace, ma generalista, dell’autore verso il lato perverso del progresso tecnologico è di un idealismo utopistico, che rifiuta la lotta di classe (Charlot sogna una vita romantica ma agiata, con una casetta rurale, mucche e grappoli d’uva fresca) e che conclude, amaramente, che la meccanizzazione è ormai parte inestirpabile del processo produttivo, finalizzato alla ricchezza finanziaria. Di questo formidabile e lungimirante monito umanista, che ha anticipato di mezzo secolo gli eventi reali, sono rimaste memorabili due sequenze in assoluto: Charlot stritolato dai macchinari, in un surreale “balletto” di grande forza comica e di corrosiva vena satirica, ed il finale poetico, che apre alla speranza, con l’uomo e la donna che, in ombra e di spalle, procedono verso il futuro: una lunga strada con la luce abbacinante all’orizzonte. Non ci poteva essere uscita di scena più bella, teatrale e simbolicamente pregnante per il suo più  famoso ed amato personaggio, il tenero Charlot, malinconico simbolo di un’epoca d’oro del cinema dei pionieri.

Voto:
voto: 5/5

Nessun commento:

Posta un commento