giovedì 29 gennaio 2015

Arrivederci ragazzi (Au revoir les enfants, 1987) di Louis Malle

Nella Francia occupata dai nazisti, un collegio di frati carmelitani ospita ragazzi orfani o costretti a separarsi dalla famiglia per colpa della guerra. L’undicenne Julien, dopo la diffidenza iniziale e non poche difficoltà di inserimento, diventa amico del riservato, ma brillante, Jean Bonnet che però nasconde un segreto: è un ragazzo ebreo, nascosto sotto falso nome, per sfuggire alle persecuzioni naziste. Ma tutto cambia, in peggio, quando lo sguattero Joseph, sorpreso a rubare oggetti da vendere sul mercato nero, viene cacciato dall’istituto. In preda alla miseria, alla rabbia e alla disperazione, questi diventa una spia dei tedeschi e, per vendicarsi, denuncia la presenza di ebrei all’interno del collegio. La Gestapo porterà via il direttore della scuola e tutti i piccoli ebrei che vi erano nascosti, compreso Bonnet. Nessuno di loro riuscirà a sopravvivere ai campi di sterminio. Premiata con il Leone d’Oro al Festival del Cinema di Venezia, questa struggente opera, in parte autobiografica, perché ispirata ad esperienze infantili del regista, è, probabilmente, il più conosciuto dei film di Malle e una delle sue indubbie vette artistiche. Pudico e sensibile nel mettere in scena la vita dei ragazzi ed i loro rapporti interpersonali, straordinario nella ricostruzione ambientale e nell’estrema cura del dettaglio, ricchissimo e complesso nelle invenzioni narrative per dar forma alla magia dell’adolescenza, solo parzialmente contaminata dagli orrori del mondo dei grandi, straziante, ma senza cadute patetiche, nell’epilogo, è un ritratto toccante di un’epoca barbara che sembra appartenere ad un passato remoto, pur essendo dietro l’angolo. Il punto di forza del film è nella divisione tra il mondo “dentro” la scuola e quello “fuori”. Il primo è quello dei ragazzi che, pur avvertendo gli echi delle cose orribili che accadono all’esterno, tendono a rimuovere il male grazie alla spensierata forza adolescenziale, che, seppur problematica, ha ancora dalla sua la vigorosa spinta dell’innocenza appena trascorsa. E poi c’è il mondo “fuori” dalle mura del collegio, pervaso dalla crudele bestialità della guerra, di cui la shoah costituì la suprema aberrazione, la vergogna assoluta, i cui gangli diabolici riusciranno a penetrare nell’idillio amicale, corrompendone per sempre l’aura armoniosa, grazie ad un elemento di disturbo. Elemento che è, però, interno e non esterno, generato da quella problematicità già insita nel mondo adolescenziale e raffigurata con sincero realismo dall’autore: commistione di sentimenti contrastanti, di pulsioni vigorose, in cui bene e male, colpa e innocenza, convivono in miracoloso equilibrio. La forza evocativa e l’intensa tensione tragica di quest’opera emozionante, che sfiora la poesia nei momenti più intensi, la rendono un’esperienza difficilmente dimenticabile, a cui giova, ulteriormente, la profonda adesione emotiva del regista che ha così dato vita al suo progetto più intimamente sentito, il film che, da sempre, avrebbe voluto fare. Ebbe due candidature agli Oscar 1988: miglior film straniero e migliore sceneggiatura originale, ma non vinse alcun premio. L’autore ne ha anche scritto un romanzo omonimo, cinque anni dopo.

Voto:
voto: 4,5/5

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