domenica 25 gennaio 2015

Quando la moglie è in vacanza (The Seven Year Itch, 1955) di Billy Wilder

Rimasto solo nell’afa estiva di Manhattan, dopo aver mandato in vacanza moglie e figlio, l’editore Richard Sherman conosce per caso la nuova avvenente vicina del piano sopra, ingenua e bellissima. Combattuto tra la forte attrazione per la prorompente ragazza, il suo solido senso di fedeltà alla famiglia e la gelosia per la moglie, che nel luogo di villeggiatura ha ritrovato un ex spasimante, Sherman si abbandona a pericolose fantasticherie. Alla fine prenderà la decisione politicamente corretta. Intramontabile commedia rosa di Wilder, interamente costruita sul physique du rôle della bionda Marilyn Monroe, sogno proibito dell’universo maschile dell’epoca, che qui era all’apice del suo travolgente successo e del suo fascino erotico. Sotto la patina frizzante e superficiale, il film nasconde una vena satirica corrosiva, a tratti geniale, contro il perbenismo dell’americano medio ed i suoi desideri inconfessabili, abilmente nascosti sotto l’egida del conformismo. Il grande regista, allargando l’ampiezza della “denuncia”, non risparmia le sue bordate neanche ai mass media, colpevoli di favorire, con la propria campagna martellante, la contraddizione alla base del disagio psicologico di tanti uomini “felicemente” sposati: ovvero, da un lato, imporre modelli di desiderio sempre più spudorati ed ammiccanti, ma, dall’altro, condannare, all’insegna del moralismo più bieco, ogni sorta di trasgressione pubblica. Come a dire che il peccato diventa veramente tale solo quando viene scoperto. Questa briosa satira di costume, generosa nel dispensare graffi all’ipocrisia di facciata, paga un certo dazio, dal punto di vista dell’inventiva visuale, alla sua origine teatrale; infatti era nata, inizialmente, come commedia in tre atti scritta da George Axelrod. Ma i suoi pregi sono tanti ed evidenti: è divertente (le gag sull’inibizione sessuale e sull’ossessione dell’adulterio sono irresistibili), è mordace, è esuberante come la sua protagonista, che qui fa, praticamente, se stessa, risultando totalmente credibile e a suo agio. Il caratterista Tom Ewell, un “brutto” di rara simpatia, mantiene bene il ritmo di Marilyn ed i giusti tempi comici, restituendoci quell’immagine di smarrita tenerezza e di confuso turbamento che fa breccia immediata nel pubblico. Il film viene principalmente ricordato per la celebre scena in Marylin passa sulla grata della metropolitana e la sua ampia gonna bianca vola in alto, per lo spostamento d’aria causato dal passaggio di un treno, un’immagine sensuale così potente da divenire una delle icone più importanti e conosciute della storia del cinema. Il titolo originale si può tradurre come il prurito del settimo anno, riferito al fatto che Sherman è sposato da sette anni, ovvero il limite comunemente additato come inizio di crisi sentimentali e tentazioni sessuali.

Voto:
voto: 4/5

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