giovedì 22 gennaio 2015

Furore (The Grapes of Wrath, 1940) di John Ford

Durante gli anni della grande depressione americana la famiglia Joad, composta da umili contadini e caduta nella miseria più nera, intraprende un lungo e disperato viaggio a bordo di un vecchio camion, dall’Oklahoma verso la California, “terra promessa” dove si dice che ci siano lavoro e campi fertili in abbondanza. Guidati dall’ardimentoso Tom (Henry Fonda), appena uscito di prigione, attraverseranno un paese in ginocchio, affamato, avvilito, in cui l’indigenza generale ha prodotto un esercito di reietti, crudeli, violenti, disposti a tutto per sopravvivere. Sfruttati e vilipesi, i Joad dovranno lottare duramente, ma quando Tom provoca accidentalmente la morte di un agente, che aveva ucciso un suo amico, sarà costretto a separarsi dalla famiglia, per non privarli dell’ultima di speranza di un futuro migliore. Tratto dall'omonimo romanzo di John Steinbeck, è uno dei massimi capolavori della storia del cinema ed il miglior film del leggendario John Ford, che, paradossalmente, raggiunge l’apice assoluto della sua grande carriera con un’opera non western. E’ uno straordinario affresco storico, che non solo restituisce in pieno le atmosfere di cupa disperazione del libro ispiratore, ma ricostruisce perfettamente, attraverso immagini magistrali nella loro rigorosa essenzialità, lo spirito di un’epoca oscura della storia americana, quella grande depressione che viene attraversata dai Joad in un viaggio non solo fisico, ma, principalmente, morale. La straordinaria fotografia in bianco e nero di Gregg Toland ha la potenza formale delle vecchie foto d’epoca, alle quali si ispira con severo rispetto. L’assoluto realismo delle immagini, che trasudano sporcizia e degrado, unito alla drammaticità di alcune scene memorabili, rendono quest’opera un prezioso documento storico di valore assoluto, al quale lo sguardo di ampio respiro epico, tipicamente fordiano, conferisce la statura di un’imponente epopea degli oppressi, che vira nel mito per la sua alta connotazione tragica. Con uno stile asciutto e lucido, il grande regista cattura abilmente l’asperità dei luoghi, il dolore dei volti lerci, sudati, segnati per sempre dalla miseria e dalle umiliazioni, occhi spenti in cui si rispecchia, cinicamente, una delle maggiori vergogne sociali della storia americana, fonte costante d’imbarazzo per le classi politiche. Il viaggio, elemento tipico del cinema fordiano, stavolta rappresenta un passaggio, epocale, dalla società contadina a quella industriale, un passaggio che è però imposto da cause di forza maggiore, dettato dall’istinto di sopravvivenza e non da una libera scelta. Come sempre sono gli umili a pagare, e a subire, gli errori commessi dai poteri istituzionali, vittime sacrificali ed anonime sul cruento altare dell’ingiustizia sociale. La censura, troppo forte a quei tempi, impose al regista di modificare alcune scene dell’epilogo, giudicate troppo crude e violente, e la produzione lo spinse ad un finale meno negativo, in base alla moda dell’epoca. Ma, anche così, la forza devastante della denuncia storica ci viene restituita intatta dalle imponenti immagini dell’opera. Candidato a sette Oscar ne vinse soltanto due: Ford alla regia e Jane Darwell attrice non protagonista, ma anche Fonda lo avrebbe meritato. Questa superba opera capitale, che ebbe anche un grande successo di pubblico, rappresenta la magnifica risposta artistica dell’autore a coloro che lo accusavano di idee reazionarie.

Voto:
voto: 5+/5

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