mercoledì 21 gennaio 2015

Victor Victoria (Victor Victoria, 1982) di Blake Edwards

Parigi, anni ’30: Victoria, cantante disoccupata finita in miseria, si lascia convincere da un cabarettista omosessuale a fingersi un uomo, con tendenze gay, che si traveste da donna. Nasce così il personaggio di Victor, ballerino e cantante, che riscuote un enorme successo nei locali notturni parigini grazie alla sua ambigua carica sensuale. Ma le cose si complicano quando un boss mafioso americano, invaghitosi di lui/lei, inizia a indagare per svelarne la vera identità sessuale. Sfavillante commedia sofisticata di Blake Edwards, uno dei maestri del genere, tra le migliori degli anni ’80 e della carriera del regista. Sotto la patina luccicante si nasconde una caustica critica alla morale perbenista ed alla sua connaturata tendenza a giudicare, etichettare, bandire, in base alle apparenze. È il remake (anzi il “travestimento”) di Viktor und Victoria, film del 1933 di Reinhold Schünzel, ma nettamente superiore all’originale per esuberanza visiva, erotismo conturbante, ricchezza scenografica, capacità inventiva, ritmo coinvolgente, eleganza formale e interpretazioni degli attori (straordinarie le performance di Julie Andrews e di Robert Preston). Il complesso gioco di trasformismi alla base dell’opera, una donna che si finge un uomo che si finge una donna, diventa una sapiente metafora dell’illusione alla base della fiction cinematografica: l’auto convincimento, da parte dello spettatore, della realtà di una finzione. Nonostante le consuete gag, tipiche dell’autore e qui particolarmente incisive, disseminate nella pellicola, l’alta tenuta registica riesce a garantire una solida adesione tra il registro brillante e quello psicologico, con conseguente agile mescolanza tra malinconia e comicità. Candidato a 7 premi Oscar nel 1983, vinse solo quello per la colonna sonora del grande Henry Mancini, condiviso con Leslie Bricusse.

Voto:
voto: 4,5/5

Nessun commento:

Posta un commento