sabato 31 gennaio 2015

La jetée (La jetée, 1962) di Chris Marker

Una visione potente, affascinante, inquietante ed indimenticabile, racchiusa in soli 28 minuti, ovvero la durata di questo cortometraggio, senza dubbio il migliore che sia mai stato girato, definito dal suo autore un “cineromanzo” per la particolare struttura narrativa: un insieme di fotogrammi statici, montati in sequenza e con una voce fuori campo che racconta la storia. Nel film compare anche una solo sequenza filmata, per concedere il massimo risalto espressivo al climax emotivo dell’opera. Cercando nuove forme espressive e inediti linguaggi cinematografici, sull’onda culturale della fiorente Nouvelle Vague francese, il regista ha realizzato un’opera ipnotica, di assoluto spessore tecnico, di altra astrazione simbolica e di profonda fascinazione tematica; un breve film di fantascienza distopica sospeso tra la psico-favola e la poesia onirica, l’apocalisse e l’idillio surreale. E’ una delle vette indiscusse della cinematografia weird, che ha profondamente influenzato pellicole ben più commerciali e famose, come L’esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam, che ne costituisce una sorta di remake in stile americano. Ambientato in un futuro imprecisato, in una Parigi post catastrofe nucleare, dove i sopravvissuti vivono come ratti, costretti in rifugi sotterranei a causa delle radiazioni che hanno contaminato l’ambiente esterno, è una vicenda che mescola, con forti suggestioni, il dolore personale con il destino della razza umana. Il protagonista è un uomo, senza nome, dotato di un forte potere d’immaginazione, che viene sottoposto a dolorosi esperimenti da scienziati che vogliono riportarlo indietro nel tempo, all’origine dell’olocausto atomico che ha distrutto il pianeta, cercando di modificare gli eventi e, quindi, il futuro. L’uomo ha delle ricorrenti visioni del passato, in cui vede se stesso bambino con i suoi genitori, nell’area d’imbarco dell’aeroporto parigino di Orly (“jetée” in francese significa “molo d’imbarco”). Lì assiste ad un incidente, uno sconosciuto che viene ucciso attirando l’attenzione della folla, mentre lui continua, imperterrito, a fissare una donna misteriosa, che cattura totalmente la sua attenzione infantile. I viaggi nel tempo lo ricondurranno in quel luogo fatale, dovrà avrà modo, da adulto, di conoscere la donna e trascorrere del tempo con lei, generando un forte contrasto tra il passato di pace, la dimensione della donna, ed il suo futuro post apocalisse nucleare, che ne ha segnato inesorabilmente la coscienza. Il grottesco rapporto tra il viaggiatore e gli scienziati, scandito da uno slogan in tedesco che scorre di continuo come se fosse un mantra, rappresenta una graffiante critica storica dell’autore al governo di Vichy, che guidò la parte libera della Francia durante l’occupazione nazista. Con un perfetto meccanismo geometrico, che chiude il cerchio dell’opera in un allegorico loop che imprigiona i personaggi, senza concedergli via di fuga, Marker disvela, anticipando l’autoconsistenza novikoviana, il paradosso ideologico insito nell’ipotesi del viaggio nel tempo, ovvero l’immutabilità del passato. Lo stile “fotografico”, che racconta la storia attraverso diapositive, ha il rigore raggelante di un documentario della memoria, che ferma gli istanti, cristallizzandoli per un attimo prima del frame successivo, cercando di rappresentare un modello teorico per il complesso rapporto tra immagini e ricordi, sulla cui inconscia iterazione si fonda l’umana coscienza di sé. E’ dunque corretto affermare che, ad un certo livello, questo film memorabile è una metafora della coscienza umana, eternamente persa nel labirinto sogno-realtà. Nel film è presente un dichiarato omaggio al capolavoro hitchcockiano Vertigo, di cui viene replicata fedelmente la scena in cui James Stewart mostra a Kim Novak la sezione del tronco d’albero per leggerne l’età e trovare, quindi, una simbologia del tempo. Il recente, e un po’ sopravvalutato, Lo zio Boonmee che si ricorda delle sue vite precedenti di Apichatpong Weerasethakul, vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes nel 2010, fa una lunga citazione/omaggio a La jetée in una celebre scena. Purtroppo quest’opera è quasi sconosciuta ai non cinefili, ma il suo recupero è d’obbligo.

Voto:
voto: 5/5

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