lunedì 19 gennaio 2015

Il fiume rosso (Red River, 1948) di Howard Hawks, Arthur Rosson

Il rude Thomas Dunson (John Wayne), allevatore di bestiame, deve condurre la sua enorme mandria di ottomila capi, messa insieme in quindici anni con enormi sacrifici e qualche ingiustizia, attraverso il Red river per riuscire a venderla a prezzo vantaggioso. Ma il viaggio è difficile e pieno di insidie. Lo aiuta nell’impresa il giovane figlioccio Matt Garth (Montgomery Clift), ma quello che un tempo era un solido legame affettivo tra i due uomini, si è rovinato a causa dell’intransigenza di Dunson, tirannico e spietato con chiunque osi contrastarne il pensiero. Il fiero Garth non si piega e tra i due sarà rottura completa, con il giovane che prenderà il comando della mandria, estromettendo il vecchio patrigno con la forza. Garth, più diplomatico nel gestire i rapporti con i mandriani, riuscirà nell’impresa, terminando il viaggio e vendendo i bovini ad un ottimo prezzo. Ma Dunson è un osso duro e tornerà per vendicarsi. Primo dei cinque western di Hawks, codiretto con il vice Arthur Rosson, che realizza un capolavoro assoluto, unanimemente inserito nella top ten western di tutti i tempi. In un genere di grande successo e fortemente omologato dall’oligarchia del leggendario John Ford, Hawks riuscì a dimostrare tutto il suo immenso talento, ricodificando la mitologia fordiana, ben prima dei rivoluzionari Peckinpah e Leone, con toni più cinici e spietati, personaggi più complessi e tormentati ed amicizie virili più problematiche, con sottintesi di latente omosessualità. Pur senza rinunciare all’epica della vecchia frontiera ed all’ampiezza di respiro degli spazi sconfinati, il grande maestro dell’Indiana abbraccia una dimensione, umana, più stratificata, meno radicale, più dubbiosa ed aperta alle zone d’ombra, garantendo la medesima ribalta sia alle dinamiche interpersonali che ai duelli spettacolari. Meno celebrativo, meno edificante, e più sottile nello scandaglio psicologico rispetto al suo rivale Ford, Hawks realizza il manifesto della sua rinnovata concezione del western con questo film sontuoso, che, tra fiumi, mandrie, cowboy e indiani, ha il suo cuore pulsante nel confronto ideologico e generazionale tra due uomini, che si amano e si odiano in uno scontro dal quale entrambi usciranno cambiati. Il fiume rosso è un’opera fondamentale nella storia del western, perché ne amplia le tematiche arricchendole di suggestioni nuove, più profonde e mature, favorendone la crescita verso una più arguta analisi introspettiva da affiancare alla mitologia tradizionale, per rinnovarla e rinverdirla con una maggiore densità narrativa. Forte di una sceneggiatura monolitica, di una regia sfavillante, che esprime la sua massima genialità nelle memorabili sequenze notturne, e delle grandi interpretazioni dei due divi John Wayne e Montgomery Clift, questa pellicola magistrale ridefinì il concetto di “classico” applicato al genere western. Leggenda vuole che il rapporto tra Wayne e Clift, sul set del film, non fu affatto idilliaco, a causa delle diverse vedute politiche dei due. La cosa, se fondata, ha indubbiamente favorito la resa recitativa, aumentando la verosimiglianza della rivalità tra i due personaggi nella finzione cinematografica.

Voto:
voto: 5/5

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