domenica 4 gennaio 2015

La moglie del soldato (The Crying Game, 1992) di Neil Jordan

Un soldato britannico di colore viene rapito da un commando di terroristi dell’IRA. Tenuto prigioniero in una remota località boscosa diventa amico del suo carceriere, Fergus, a cui racconta della sua amata donna, Dil, parrucchiera a Londra, raccomandandosi con lui di contattarla dopo la sua morte. In seguito alla tragica e accidentale fine del soldato, Fergus si reca a Londra per cercare Dil, da cui viene presto sedotto. Ma la sorpresa è dietro l’angolo.  Eccellente dramma dai toni autunnali, scritto benissimo, diretto con sobrio rigore ed egregiamente recitato da un cast (Stephen Rea, Forest Whitaker, Jaye Davidson, Miranda Richardson ) variegato e sorprendente per resa emotiva e gioco di “squadra”. Senza svelare troppo sulla trama, perché sarebbe un “delitto”, si può dire che è un’opera intensa e coinvolgente a due livelli di lettura, che si muove, in entrambi, sul filo sottile della separazione tra convinzioni opposte, sia politiche che sessuali. L’ombra sinistra del colonialismo inglese, che aleggia su tutto il film, è in antitesi stridente con le azioni del protagonista, che abbatte dogmi e tabù in nome di un veemente umanesimo, carnale ed ideologico, che mette sempre il cuore davanti alla ragione. E da questo contrasto, che celebra l’ambiguo come fertile espressione dello spirito umano che rifiuta compromessi e preconcetti in nome di una libertà individuale da difendere coi denti, prende forma concreta la tematica più intima dell’opera, che ne rappresenta il valore aggiunto ed il motivo di maggiore fascinazione. Il titolo originale, tratto dall’omonimo brano di Boy George che spicca nella colonna sonora del film, è molto più calzante di quello italiano. Ebbe sei candidature pesanti agli Oscar del 1993 ma vinse “solo” il premio per la migliore sceneggiatura originale, firmata dallo stesso regista. Se ne consiglia la visione in lingua originale.

Voto:
voto: 4/5

Nessun commento:

Posta un commento