giovedì 29 gennaio 2015

Fuoco fatuo (Le feu follet, 1963) di Louis Malle

Alain, alcolista distrutto dal vizio e stanco della vita, ha deciso di uccidersi. Prima di farlo cerca, in un ultimo disperato tentativo, un percorso alternativo, scavando nel suo passato, nelle vecchie amicizie, sperando di trovare un appiglio, un conforto che gli dia un motivo per andare avanti. Dopo due giorni, sconfitto dalla solitudine e dalla disperazione, si toglie la vita. Dal romanzo omonimo di Pierre Drieu La Rochelle, il regista ha tratto un film cupo, angosciante, profondamente sentito perché intriso di elementi autobiografici. Asciutto nello stile, compassato nel ritmo e classico nella misura formale, senza alcuna concessione ai canoni “irrequieti” della Nouvelle vague, è una lucida apologia dell’incomunicabilità, del male di vivere e di uno spaesamento giovanile, alla vigilia della rivoluzione liberale del ’68, votato all’autodistruzione. Le atmosfere soffocanti ci fanno capire, fin dalla prima scena, che il destino del protagonista è già segnato e che il suo viaggio nel passato non porterà ad alcun risultato, se non a nuove delusioni. Memorabili le sequenze di Alain, interpretato da un ottimo Maurice Ronet, che passeggia da solo, parlando con se stesso, in una Parigi malinconica, di cui la splendida fotografia in bianco e nero ci restituisce le strade, i volti, la pioggia con un sembiante mesto, alieno, ostile, fornendo la massima valenza espressiva allo stato d’animo del protagonista. La rappresentazione in soggettiva, artisticamente notevole, che esalta la potente liricità dell’opera, ne costituisce anche la cifra stilistica più elevata. E’ una delle più riuscite pellicole, in senso assoluto, relative al fallimento esistenziale, la cui lucida sobrietà formale, mantenuta rigorosamente dal regista dalla prima all’ultima scena, fa sì che non sia mai commovente, ma estremamente lacerante. Quest’opera autunnale e tormentata, di ammirevole maturità espressiva ed acuta introspezione, è, indubbiamente, uno tra i migliori film di Malle, anche se l’estrema  disperazione di cui è intriso e la “lentezza” del ritmo potrebbero renderlo ostico al grande pubblico.

Voto:
voto: 4,5/5

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