domenica 4 gennaio 2015

Solo gli amanti sopravvivono (Only Lovers Left Alive, 2013) di Jim Jarmusch

Adam e Eve sono due vampiri affascinanti, raffinati, colti e benestanti che “vivono” da centinaia di anni assorbendo, oltre al sangue essenziale al loro nutrimento, il meglio del mondo in termini di arte, bellezza e cultura. Testimoni privilegiati e nascosti di tanta storia umana, hanno attraversato le epoche finendo per relegarsi in due rispettive “prigioni d’avorio” a migliaia di chilometri di distanza: Adam è un musicista tetro e solitario, incline alla malinconia ed al desiderio di morte, che ha scelto di vivere a Detroit tra chitarre, amplificatori ed orpelli vintage. Eve è una donna libera, socievole, dotata di una grazia naturale e di un profondo amore per la letteratura di qualsivoglia paese, che vive in Marocco tra ornamenti preziosi e suggestioni orientali. I due, che sono amanti, hanno scelto un elitario isolamento che li porta a interagire il meno possibile con gli umani, nutrendosi solo di sangue puro, prodotto in laboratorio, ottenuto grazie a medici compiacenti, lautamente ricompensati. Ma l’arrivo della selvaggia sorella di Eve, vampira vorace ed incontrollabile, finisce per spezzare il cerchio virtuoso faticosamente costruito dai due intorno alla loro esistenza,  facendo entrare il caos del mondo nel loro secolare e dorato silenzio. Jim Jarmusch,  elegante regista americano che da sempre guarda al cinema europeo, mette in scena l’ennesima raffigurazione del mito del vampiro con questo quieto dramma funereo, incline alla malinconica decadenza ed alla ricercata rarefazione, pervaso da lunare romanticismo splendidamente incarnato dai due protagonisti, in cui la magnetica Tilda Swinton, ormai archetipo di bellezza “distante” e non convenzionale, giganteggia.  La “vita” di cui si parla nell’intrigante titolo, che è poi una vita “in negativo” secondo la tradizione vampirica,  non è quella biologica bensì quella spirituale, connessa a una dimensione superiore di bellezza, incanto, illuminazione, affine alle manifestazioni più alte dell’essere umano, espresse dall’arte e, quindi, eterne. Il rispetto contemplativo dei due vampiri per tutto questo, ma anche per la natura e per il destino di questo vecchio mondo che va in frantumi, è l’amore, contrapposto alla sgraziata superficialità dei “mortali” che stanno distruggendo l’ambiente e calpestando la memoria in nome del consumismo sfrenato e della smodata rapacità. Chi sono i veri vampiri ? Chi vive realmente nel buio ? E chi nella luce ? Sono queste le domande a cui il regista sembra interessato. La risposta, ovvia, ha il sapore, politico, dell’annosa disputa tra disimpegno intellettuale ed impegno civile, tra teorici ed attivisti. Ma il film è anche un pregevole elogio dell’arte, la nobile scintilla divina presente negli umani, come forma suprema da opporre al dolore, alla bestialità, all’ignoranza, alla morte, celebrando così una miracolosa magia che unisce, e travalica, tutte le epoche. Non privo di ironiche trovate surreali (il gelato al sangue), ci conduce con carezzevole malia attraverso l’ennesimo itinerario notturno della carriere dell’autore, in cui, come sempre, il viaggio conta più della meta. Onirico e suggestivo nelle meravigliose sequenze tra i vicoli di Tangeri, le strade deserte di Detroit e le sontuose stanze barocche, è un’opera di alto valore estetico e di imponente forza simbolica che dona nuova luce, e rinnovato spessore, all’abusata filmografia vampirica.

Voto:
voto: 4/5

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