venerdì 9 gennaio 2015

La montagna sacra (La montaña sagrada, 1973) di Alejandro Jodorowsky

Un ladro, che fisicamente somiglia a Gesù, passa attraverso esperienze “cristologiche” che culminano con la conoscenza di un misterioso alchimista, che lo introduce a esperienze mistiche, tra cui l’incontro con sette signori, ognuno dei quali rappresenta un pianeta del sistema solare. Tutti insieme partiranno verso la leggendaria montagna sacra, cercando di raggiungere la vetta sulla quale dovrebbero risiedere dei vecchi saggi illuminati che custodiscono il segreto dell’immortalità. Celebre e controversa pellicola underground del bizzarro Jodorowsky, che divenne di culto già immediatamente dopo la sua uscita, provocatoria quanto affascinante nella sua variopinta commistione tra sacro e profano, becero e sublime, meraviglioso e orrido. Forte di un solido impianto surrealista che guarda al Buñuel del periodo messicano, affronta l’argomento religioso con un folle sincretismo tra blasfemia e misticismo, sotto l’egida di un’astrazione, probabilmente troppo pretenziosa per risultare pienamente coerente, che ricorre a simboli potenti, visionari, oltraggiosi e scioccanti, utilizzando inserti che sconfinano nell’horror o nel lascivo. Deve il suo successo, nei circuiti cinematografici underground, proprio a queste immagini forti, che scossero le coscienze dei moralisti e spinsero i critici cattolici a tacciare il film di “eresia” sacrilega. Ma la saldezza concettuale di quest’opera allucinata e poliedrica è fuori discussione, basti citare le strepitose ambientazioni e l’inventiva dell’apparato weird di tutta la prima parte, l’incontro tra il ladrone e l’alchimista, interpretato dal regista stesso, o l’umorismo grottesco, carico di una possente matrice eversiva, dell’incontro con i sette signori, o la geniale creatività del viaggio catartico denso di momenti tanto turpi quanto inarrivabili dal punto di vista visionario. E’ la migliore tra le opere del regista cileno, la più compiuta e la più matura, che contiene anche, oltre al consueto biasimo dell’estetica del “bello” (tipicamente surrealista), forti elementi di caustica critica sociale e politica: si pensi alla parodia della conquista del Messico operata da rospi e iguana o ai falsi profeti, accampati ai piedi della montagna, che promuovono paradisi artificiali, come la droga, o, ancora, ai sette signori, che incarnano i sette maggiori poteri terreni, di cui l'alchimista dice, rivolgendosi al ladrone protagonista, che essi non sono altro che "ladri come lui ma  ad un livello più alto". E’, quindi, un grande film di eccessi e di contrasti: volgare e psichedelico, arguto e disturbante, sporco e spirituale, un’esperienza non facile per il pubblico mainstream ma, a suo modo, indimenticabile, che trova il pieno riscatto teorico nel meraviglioso finale brechtiano, beffardo e nichilista, che sancisce definitivamente il punto di vista dell’autore sull’inutilità di una ricerca di senso nell’esistenza terrena. Il film fu finanziato da John Lennon e Yoko Ono, che erano rimasti entusiasmati dal precedente lavoro di  Jodorowsky: El topo (1971), il primo western surrealista anch’esso molto famoso ed apprezzato nei circuiti del cinema weird.

Voto:
voto: 4/5

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