Nuovo decennio, nuovo Bond. Abbandonati gli insuccessi degli anni ’80
con uno stanco Roger Moore ed un incerto Timothy Dalton, ci vogliono
quasi 6 anni per trovare un nuovo interprete degno della tradizione di
007. Ed è la volta dell’elegante irlandese Pierce Brosnan, che, complice
una trama avvincente, un ritmo serrato, alcune sequenze di grande
impatto spettacolare ed alcune novità “strutturali”, riesce a
risollevare le sorti di una saga che sembrava ormai avviata sul viale
del tramonto. Il successo è grande ma la formula è semplice: tornare
all’antico con stile, glamour, tecnologia, ironia ed invincibilità, ma
con inevitabili concessioni ai cambiamenti imposti dalle nuove mentalità
più aperte ed in sintonia con il nuovo ruolo sociale della donna. Ed
ecco quindi che il capo del MI6, M, è una femmina (la grande Judi Dench,
che ricoprirà il ruolo per ben 7 pellicole) e le “Bond girl” principali
diventano due, paritarie e complementari: Izabella Scorupco e Famke
Janssen. Alcuni fans, sull’onda dell’entusiasmo troppo a lungo sopito,
scomodano paragoni eccellenti, e fuori luogo, con il mito Connery,
scegliendo di ignorare la tendenza (che poi si farà deriva)
“americaneggiante” della seconda parte del film, che nei capitoli
successivi “seppellirà” il mito, e lo charme, di Bond sotto un diluvio
di effetti speciali così esagerati da scadere nel ridicolo involontario,
una sorta di auto-parodia inconsapevole.
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