Dopo il matrimonio del suo protettore Mamma Roma, una prostituta,
abbandona il marciapiede e si riprende suo figlio Ettore, dato in
affidamento ad un’altra famiglia, cercando di ricostruire il rapporto
con lui. Ma la realtà delle borgate romane è dura e il ragazzo prende
ben presto una cattiva strada. Intensa opera seconda di Pasolini,
pervasa dalle medesime dolorose tematiche di borgata già viste in
“Accattone”, ma che, innervata da un impianto ideologico di matrice
classica (l’ossimoro e la sineciosi), ne allarga l’analisi sociale,
passando dalla descrizione di un onere individuale ad uno collettivo.
Forte del vigoroso verismo delle immagini, scarne e potenti al tempo
stesso, e di un’interpretazione magistrale di Anna Magnani, che si
conferma la più grande attrice italiana di ogni tempo, è un’accorata
parabola sugli umili, che hanno barattato la loro genuina e feroce
spontaneità istintuale con il sogno preconfezionato del benessere
borghese, corrompendo la sacra fierezza proletaria con le chimere del
consumismo, finendone inevitabilmente schiacciati, in accordo
all’ideologia dell’autore. Nonostante qualche schematismo, è una nuova
sapiente istantanea pasoliniana sulla realtà delle periferie romane,
capace di fondere abilmente la recitazione drammatica della Magnani con
la spontaneità dei “ragazzi di vita” dell’autore, mettendo in scena un
possente dramma esistenziale carico di connotazioni sociali e di rimandi
alla tragedia classica. Il “peccato originale” dei due protagonisti, la
madre e il figlio, ovvero quello di esser nati nella parte “sbagliata”
del mondo, viene surclassato dall’adesione acritica di lei a quei falsi
modelli del perbenismo borghese, che non mirano ad una reale
emancipazione intellettuale ma solo ad una effimera omologazione verso
un modello sociale ostentato. Ancora una volta il grande regista poeta
sembra dirci che solo nella morte l’uomo è capace di trovare la sua vera
grandezza, il momento supremo di massima esaltazione tragica.
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