Nell’Italia del 1943, devastata dal secondo conflitto mondiale, la
giovane Cesira abbandona Roma, insieme alla figlia adolescente, Rosetta,
per sfuggire ai bombardamenti. Il loro viaggio da sfollati attraverso
le terre d’origine della Ciociaria diventa quello di una nazione
attraverso gli orrori della guerra, la cui coscienza, spezzata ed
umiliata, non tornerà mai più quella di prima. Dal romanzo omonimo di
Alberto Moravia, De Sica, insieme al fido Zavattini, ha tratto un film
denso, complesso, ben modulato tra la rilettura critica della storia ed
il romanzo popolare di forte impatto emotivo, pregno di quella verace
sensibilità, tipica del regista, da sempre incline al sentimento della
gente comune. Pur con qualche incongruenza nel personaggio di Rosetta,
il film ha cuore, anima, patos e sa rievocare con forza uno dei periodi
più dolorosi della storia italiana, soprattutto grazie
all’interpretazione monumentale di Sophia Loren, premiata con l’Oscar
per l’occasione, che ci regala una performance intensa, struggente,
sfaccettata, nel suo mix tra sensualità, spontaneità e dolore.
Attraverso il suo volto riviviamo il tragico iter di un paese,
ingannato, deluso e vilipeso, passato nel giro di pochi anni
dall’ingenua esaltazione alla rovinosa caduta. De Sica, forte del suo
background neorealista, sceglie di limare la vis polemica del romanzo
ispiratore, ponendo invece l’accento sull’umanità dei personaggi, sulla
semplicità degli umili, mostrandoci gli effetti della guerra attraverso
gli occhi delle vittime, piuttosto che con l’uso saccente di diatribe
politiche intellettualistiche. Chi ha accusato l’opera di populismo non
ne ha saputo cogliere l’essenza appassionata e compassionevole, tipica
del grande regista laziale. Da citare anche le belle musiche di Armando
Trovajoli e la presenza nel cast di un giovane Jean-Paul Belmondo.
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