venerdì 2 settembre 2016

American Gigolo (American Gigolo, 1980) di Paul Schrader

Julian Kay è un aitante gigolò adorato dalle sue clienti, ricche signore annoiate e un po’ agée, a cui si dedica con certosina dedizione per soddisfarne ogni desiderio represso. La sua inevitabile prossimità con un mondo opulento e vizioso, farà finire Julian in un grosso guaio giudiziario, come sospettato principale dell’efferato delitto di una delle sue clienti. Torbido noir erotico di Paul Schrader, divenuto immediatamente di culto a causa della conturbante materia trattata, che non era certo una cosa leggera per gli anni ’80. Rese il protagonista, il fascinoso Richard Gere, una star amata dalle donne di ogni latitudine e vanta a tutt’oggi folte schiere di ammiratori, anche tra la critica. Tenendo da parte le inopinate reazioni scandalizzate dei soliti moralisti, va detto che il film è eccellente nella prima parte, in cui il regista traccia un crudo ritratto al vetriolo dell’alta società americana, persa nell’edonismo, vittima del proprio vuoto esistenziale e dedita alla dissolutezza come unica risposta possibile alla noia. La prostituzione diventa una metafora del consumismo sfrenato: in una società che ha barattato gli ideali con il potere economico, le “attenzioni” (non solo sessuali ma anche umane) vanno comprate. Peccato che la buona premessa venga in larga parte sciupata nella seconda parte della pellicola, che diventa un canonico thriller a sfondo legale dal finale poco plausibile. Il film è anche famoso per gli abiti indossati dal prestante Gere, disegnati dal nostro Giorgio Armani. Schrader ha più volte dichiarato di essersi ispirato, per la sceneggiatura di American Gigolo, a Diario di un ladro (Pickpocket, 1959) di Robert Bresson. Il paragone ambizioso non può che lasciare perplessi.

Voto:
voto: 3,5/5

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