lunedì 5 settembre 2016

Il seme dell'uomo (Il seme dell'uomo, 1969) di Marco Ferreri

Ciro e Dora sopravvivono a una misteriosa pestilenza che sembra provocare la fine del genere umano. In fuga dal morbo abbandonano la società e vanno a vivere in una remota casa sulla spiaggia, dove lui si dedica alla raccolta di frammenti di una civiltà ormai distrutta e lei bada alla sopravvivenza quotidiana. Una grossa differenza di opinioni li divide e ne mina il rapporto: Ciro vorrebbe dei figli per dare un seguito all’umanità, invece Dora si rifiuta senza possibilità di appello. Cupo dramma apocalittico di Ferreri in forma di allegorica fiaba fantascientifica, minimale nella messa in scena e pregna di umori corrosivi contro il consumismo e il maschilismo imperante nel mondo occidentale. Caustico e profetico, nichilista e beffardo, questo nuovo atto d’accusa all’uomo del grande autore milanese ne rappresenta uno dei vertici assoluti in termini di pessimismo manieristico. Lucido e feroce nella sua crudeltà asettica, fa della povertà scenica una fierezza stilistica e si erge come inappellabile condanna universale sul destino della razza umana. Geniali e stranianti, come al solito, i simbolismi metaforici utilizzati dall’autore: lo scheletro di balena sul litorale brullo, il cimitero di pupazzi sulla spiaggia, la bottiglia di pepsi-cola con la scritta “Merry Christmas”, i funzionari di stato in forma di cavalieri neri, la donna prete. Tra morte e tradimenti, inganno e disfacimento, il protagonista assoluto è il mare, spettatore minaccioso e severo di un’umanità allo sbando, condannata per il suo inestirpabile vizio intrinseco. In questo epitaffio ostico e pungente, Ferreri si ritaglia anche un gustoso cameo, nel ruolo del proprietario della casa abbandonata, e rende un dichiarato omaggio al capolavoro fantascientifico di Stanley Kubrick (2001: Odissea nello spazio) mostrandone le foto di scena nel “museo” di reperti raccolti dal protagonista.

Voto:
voto: 4/5

Nessun commento:

Posta un commento