domenica 11 settembre 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot (Lo chiamavano Jeeg Robot, 2016) di Gabriele Mainetti

Enzo è un delinquente di mezza tacca, disadattato e sociopatico, sopraffatto dallo squallore della degradata periferia romana in cui abita. Alessia è una ragazza psicolabile che, per sfuggire al dolore di un’infanzia difficile segnata da lutti ed abusi, si è rifugiata in un mondo tutto suo, popolato dai personaggi del manga giapponese “Jeeg Robot d’acciaio”. Fabio, detto “Zingaro”, è il pittoresco leader di una banda criminale che cerca di ascendere nella malavita romana, anche grazie a collusioni con la camorra napoletana. Un giorno la vita di Enzo cambia per sempre in seguito ad un incidente che lo fa entrare in contatto con un bidone di scorie radioattive gettate nel Tevere. Da quel momento l’uomo acquista una forza fisica straordinaria che lo rende invincibile e indistruttibile e decide di usare i nuovi super poteri per farsi strada nella “carriera” criminale. Quando Enzo, Alessia e Fabio entreranno in contatto per tragiche vicende le loro esistenze prenderanno una piega imprevista. E’ possibile girare un film di super eroi nel nostro paese ? Cercando di dare una risposta positiva alla domanda il regista romano Gabriele Mainetti ha dato vita a questo bizzarro esperimento, coraggioso e spericolato, cercando di far fronte all’inevitabile scarsezza di mezzi con l’esuberanza creativa e la talentuosa arte di arrangiarsi che nel “belpaese” non è mai mancata. Il risultato finale è un film strano e interessante insieme, un prodotto sicuramente sopra la media attuale del nostro cinema che riesce miracolosamente a tenere insieme un guazzabuglio di influenze e suggestioni diverse. In questa favola dark dal cuore nero e iper-violento si passa agilmente dal noir al fantasy, dall’asprezza cruenta della “Gomorra” televisiva di Stefano Sollima alla greve ferocia delle borgate romane di Claudio Caligari, dall’ironia pulp di derivazione “tarantiniana” all’anima trash delle pellicole dei Manetti bros., concedendosi anche il lusso di citazioni a raffica e di una love story tenera e coatta che non lascerà indifferente il pubblico femminile. Tra cadute e invenzioni, ridondanze e lampi di puro estro, questa lodevole “anomalia” del nostro cinema garantisce un solido intrattenimento con la sua eccentrica efferatezza estetica e verbale, e ci regala una stravagante riflessione sul mito del super eroe, ovvero dell’uomo normale che acquisisce il dono (e la maledizione) dei super poteri e deve riuscire a convivere con la responsabilità che da essi deriva. E, nonostante l’estrema violenza dei toni, dei dialoghi e di numerose sequenze, quest’opera prima di Mainetti non si prende mai troppo sul serio e questo è, probabilmente, il suo merito maggiore. Nell’ottimo cast in gran forma svettano Luca Marinelli, notevole nella caratterizzazione del villain, una sorta di folcloristico Joker di borgata, e Ilenia Pastorelli, intensa e sofferta nel ruolo (chiave) di Alessia, ragazza tenera e problematica insieme. Entrambi finiscono per mettere in ombra il pur bravo protagonista, Claudio Santamaria, che per esigenze di copione ha dovuto notevolmente aumentare la sua stazza muscolare. Buon successo di pubblico e critica per questa pellicola agile e spudorata che sa regalarci anche una sequenza stracult: lo “Zingaro” in abiti kitsch che canta “Un’emozione da poco” di Anna Oxa in una squallida discoteca di periferia.

Voto:
voto: 4/5

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