Jesse
è una giovane adolescente, bellissima e dall’aspetto innocente, che sbarca a
Los Angeles inseguendo il sogno di diventare modella. La sua carica vitale e la
sua sensualità virginale abbagliano tutti coloro che la incontrano, facendola diventare
ben presto una stella emergente nell’ambiente della moda. Ma oltre
all’ammirazione dei fotografi e dei magnati del settore, la nostra finirà per
suscitare anche l’invidia di due colleghe più navigate che vedono in lei una
temibile rivale, resa imbattibile dalla forza prorompente della gioventù.
L’incontro con le due perfide donne e con l’ambigua truccatrice Ruby, che fa di
tutto per mostrarsi come premurosa amica, faranno cadere Jesse in un pericoloso
abisso di iniquità. Ipnotico horror metaforico di Refn, visivamente potente e
ideologicamente oscuro, che si avvale di un’estetica algida e ultra patinata e
che si presenta, sin dalla prima straniante inquadratura, come un film
bifronte, ambivalente, spiazzante, basato sui contrasti. Il contrasto tra
essere e apparire, tra forma e sostanza, tra bellezza esteriore e malvagità
interiore, tra la pulizia asettica delle immagini e le torbide pulsioni che
muovono le azioni delle protagoniste. Il suo aspetto più evidente di feroce
critica al mondo della moda, inevitabilmente mostrato come il tripudio del
vacuo e del falso, è solo la punta dell’iceberg di un coacervo di spunti,
allegorie e suggestioni che però non vengono mai realmente approfondite dal
regista danese, che, forse volutamente, si sofferma alla patina e sceglie di
mostrare, ma non di analizzare, il cuore nero della vicenda. Passiamo quindi
attraverso una carrellata di immagini fulgide dal cromatismo esasperato, tra
silenzi e sonorità martellanti, e veniamo immersi in un fosco labirinto che
passa in veloce rassegna atmosfere pop
art (con rimandi alle sperimentazioni con i colori del nostro Mario Bava),
richiami fiabeschi (la strega di Biancaneve), connessioni mitologiche
(Narciso), influenze storiche (il sanguinario mito della Báthory), accostamenti
dissonanti (bellezza e morte), influssi cinematografici (De Palma, Lynch), il
tutto con uno stile visivo pedissequamente conforme a una pagina di Vogue. C’è,
insomma, troppo e troppo poco al tempo stesso, in questo film sul vuoto che
quasi si compiace di essere, in fin dei conti, altrettanto vuoto. Il finale splatter, che potrà risultare
disturbante ai deboli di stomaco, ha un evidente intento metaforico, i cui temi
non sono per nulla ardui da capire: la pericolosità della bellezza e il
vampiresco mondo della moda che cela il suo lato oscuro sotto una coltre
scintillante e finisce per cannibalizzare, fagocitare e rigurgitare le sue
protagoniste, le modelle, sacrificandole (e plasmandole) come carne da macello
sull’altare del profitto. E ancora: le spietate leggi dello showbiz, l’orrore di un mondo basato sul
futile e il feticismo voyeuristico di una società guardona, perennemente
affamata di violare indecentemente le vite degli altri. Peccato che tutto resti
appena in superficie e non si vada mai oltre il manierismo simbolico tipico
dell’autore, approfondendo, ad esempio, gli aspetti più intimi della storia
come il chiaro intento delle perfide modelle di “rubare” alla protagonista non
solo la bellezza, non solo la gioventù, ma anche quella femminilità prorompente
e rigogliosa (che afferma il potere procreativo della donna attraverso il rito
del sangue mestruale), contrapposta ad un climaterio indotto da anni di diete
disumane e costrizioni repressive in nome dell’idolatria del corpo, conformemente
alle leggi dell’industria dell’apparire. Altre notevoli sfumature che avrebbero
meritato un più fertile approfondimento sono: il relativismo del voyeurismo
dello sguardo (espresso dal sottile gioco di specchi nel primo incontro tra
Jesse e Ruby, che rende incerti i ruoli di spione e spiato) e l’ambiguità intrinseca
delle modelle (fino a che punto sono vittime e fino a che punto sono complici
del perverso meccanismo che finisce per annientarle, rendendole un vuoto
simulacro di vanità). Le bordate di fischi ricevute al Festival di Cannes sono
sicuramente ingenerose per questo film affascinante ma incompiuto, stimolante
ma irrisolto. In puro stile Refn.
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