martedì 6 settembre 2016

Europa (Europa, 1991) di Lars von Trier

Leopold Kessler è un americano di origine tedesche che torna nella sua terra natia subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale. In un paese allo sfacelo, distrutto dai bombardamenti e messo in ginocchio dal disastro bellico, egli troverà lavoro come conduttore ferroviario di vagoni letto. Ma il suo tentativo di rendersi utile alla causa della ricostruzione germanica si scontrerà con una serie di disavventure che lo porteranno nel mirino di un gruppo di indomiti resistenti nazisti, chiamati “lupi mannari”, che si oppongono all’invasione dei vincitori americani. Controverso dramma storico metaforico di Lars von Trier che riflette, amaramente, sulla sconfitta di una nazione (la Germania) ma anche di un continente (l’Europa), condannato dalla miriade di contrasti e contraddizioni interne che ne minano l’unità e lo spingono verso il baratro dell’autodistruzione. L’evidente esilità della storia, raccontata con un registro che svaria dal melò all’ironico, passando anche per il thriller, viene riscattata dal genio registico dell’autore che qui dà fondo a una serie di mirabilie estetiche, con un utilizzo espressionista della fotografia che cita i grandi classici (Lang, Welles) o i registi da lui amati (Fassbinder). Girato in un bianco e nero fortemente contrastato che muta costantemente i suoi toni, virando a volte anche nel colore desaturato, il film si avvale di sequenze straordinarie come quella della messa di Natale celebrata nella chiesa senza tetto, sotto la neve che cade. Von Trier sperimenta sulle immagini attraverso deformazioni prospettiche, riprese sghembe, utilizzo di sovrimpressioni, dando vita a una pellicola che è un tripudio di contrasti: tra forma e contenuto, tra manierismo e concretezza, tra lo stile che celebra l’espressionismo tedesco e la materia aspramente antigermanica. In accordo al suo essere, sempre e comunque, un geniale provocatore, l’autore fa sfoggio del suo ruvido talento quasi giocando con il pubblico e finendo per dividere la critica tra osannanti e detrattori rispetto a questo suo opus numero quattro, che fu insignito del Premio della Giuria al Festival di Cannes del 1991. E come spesso accade con le opere del discusso regista danese, anche questo film si può odiare o amare, ma è difficile negarne lo spessore artistico e la mordace esuberanza tecnica.

Voto:
voto: 4/5

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