Bilal
è un immigrato clandestino curdo di diciassette anni che arriva a Calais (Francia)
ossessionato da uno scopo: attraversare a nuoto la Manica per sbarcare in
Inghilterra, sfuggendo così ai severi controlli doganali, in modo da
raggiungere la ragazza amata, emigrata con la famiglia nel Regno Unito.
Iscrittosi in piscina per allenarsi fa la conoscenza di Simon, istruttore di
nuoto francese di mezza età e in crisi coniugale con una moglie ancora amata ma
con cui non riesce più a parlare. Tra l’uomo e il ragazzo nasce un rapporto di
sincero affetto “paterno” al punto che Simon, anche per riscattare i fallimenti
della sua vita, fa di tutto per aiutare Bilal nella sua folle impresa. Straordinario
dramma di Philippe Lioret, che firma così il suo film migliore, sul tema
(delicato quanto attuale) dell’immigrazione e dell’accoglienza. Lucido e teso,
sobrio nello stile e incisivo nella messa in scena, appassiona, commuove e
convince senza un briciolo di retorica grazie all’estremo realismo delle
ambientazioni, alla crudezza delle situazioni, alla potente carica di umanità
dei personaggi e ai dialoghi secchi, priva di qualsiasi banalità sentimentale.
Anche i silenzi, gli sguardi, i rumori di fondo, la forza minacciosa dei
paesaggi riescono spesso ad essere parimenti evocativi, in un film in cui è arduo
trovare una nota stonata. La forza caustica della denuncia sociale mossa
dall’autore alle ferree leggi stipulate dal governo francese contro
l’immigrazione (evidente fin dal titolo amaramente ironico), viene affiancata
dal grande cuore che sostiene la vicenda umana alla base della storia, con due
protagonisti memorabili, deboli, insoliti, teneri e incredibilmente autentici
(interpretati da Vincent Lindon e Firat Ayverdi). Questo capolavoro francese ha
avuto un grande successo in patria, ha vinto due premi al Festival di Berlino e
molti altri in giro per l’Europa, ma è incredibilmente passato in sordina nel
nostro paese. Il suo recupero è d’obbligo.
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