venerdì 2 settembre 2016

Diavolo in corpo (Diavolo in corpo, 1986) di Marco Bellocchio

Giulia è una borghese depressa, fidanzata con un terrorista pentito che è probabilmente responsabile della morte di suo padre, funzionario di polizia tragicamente caduto sotto i proiettili della lotta armata allo stato. Combattuta tra i sensi di colpa e una sfrenata voracità sessuale, la donna vive l’ambiguo rapporto come una sorta di auto castigo. L’incontro con un giovane liceale la distoglierà da tutto questo, facendola precipitare in una passionale relazione erotica. Controverso dramma psicologico di Bellocchio, che sotto la patina “scandalosa” (che lo ha reso celebre, suscitando gli strali della censura dell’epoca) cela il disagio e lo smarrimento di una nazione uscita sconvolta dagli “anni di piombo” e ancora incapace di trovare una propria direzione dopo lo sfacelo portato dall’eversione terroristica. Tenendo il terrorismo costantemente fuori fuoco, l’autore emiliano sceglie di soffermarsi principalmente sull’aspetto sessuale per psicanalizzare nel profondo le inquietudini delle vittime e scegliendo, nuovamente, come bersaglio la borghesia. Peccato che la forza polemica dell’opera, indubbiamente tagliente nella suo coraggio trasgressivo, si perda in una sceneggiatura sfilacciata e diseguale, che alterna sequenze magnificamente inquietanti a momenti grevi. Fatto a pezzi dalla critica e incompreso dal pubblico, il film viene principalmente ricordato per la “generosa” avvenenza fisica della protagonista (l’olandese Maruschka Detmers, passata come una meteora nel nostro cinema d’autore) e per la scena della fellatio (si dice non simulata) che venne puntualmente sforbiciata da tutte le versioni circolanti (anche quelle in VHS). Rivisto oggi, con lo spettro del terrorismo ormai lontano e una maggiore disinibizione dei costumi, l’opera appare per quella che è: il tentativo un po’ incerto di un ribelle patentato di scuotere la coscienza civile nazionale di fronte ad una piaga ancora dolorosa, che ne aveva scosso le fondamenta ideologiche e morali. Il tentativo (artistico) di esorcizzarne le scorie mefitiche e di cacciar fuori il dolore (il diavolo) dal corpo dei sopravvissuti “feriti”. Non è di certo tra i film migliori di Bellocchio ma è pur sempre funzionale (e coerente) con la sua concezione estetica e politica.

Voto:
voto: 3/5

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